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Portafoglio 60/40: rifugio sicuro o schema da superare?


Si discute da tempo se la metodologia del portafoglio 60/40 sia ancora valida o ormai superata, soprattutto alla luce dei profondi cambiamenti che hanno interessato i mercati negli ultimi anni. Tuttavia, al di là delle analisi teoriche e dei dibattiti accademici, credo sia utile offrire un punto di vista diverso: quello di un consulente finanziario che ogni giorno lavora sul campo, a stretto contatto con le reali esigenze, le paure e gli obiettivi concreti dei clienti. È proprio osservando la vita reale degli investitori, e non solo i modelli numerici, che possiamo comprendere se questo approccio rappresenti ancora una soluzione efficace o se invece richieda un ripensamento più profondo.


Cosa significa 60/40 e chi fu il primo a identificarlo

Il portafoglio 60/40, composto per il 60% da azioni e per il 40% da obbligazioni, è considerato il modello classico per gli investitori con un profilo bilanciato. La sua origine si colloca negli Stati Uniti tra gli anni ’50 e ’60, quando la ricerca accademica in campo finanziario iniziava a diffondersi anche grazie al lavoro pionieristico di Harry Markowitz. Con la sua "Modern Portfolio Theory" (1952), Markowitz dimostrò che la diversificazione tra asset class poteva ridurre la volatilità complessiva senza compromettere i rendimenti attesi. L’idea alla base del 60/40 è semplice: una quota maggioritaria in azioni per sfruttare il potenziale di crescita di lungo periodo e una parte significativa in obbligazioni per stabilizzare il portafoglio e mitigare le perdite durante le fasi di mercato avverse. Negli anni successivi, questa struttura è stata promossa e ulteriormente consolidata da importanti gestori patrimoniali, consulenti finanziari e dalle grandi case di gestione statunitensi, diventando di fatto uno standard di riferimento. Il portafoglio 60/40 rappresenta ancora oggi una sintesi immediata di equilibrio tra rischio e rendimento, pur essendo messo sempre più in discussione nell’attuale contesto di tassi bassi, inflazione e mercati complessi.


Diamo i numeri

Al di là delle discussioni teoriche e delle chiacchiere da salotto, un approccio serio per valutare la reale efficacia del portafoglio 60/40 passa inevitabilmente dall'analisi dei dati, dei numeri concreti. Proprio per questo ho scelto di rielaborare e aggiornare una tabella pubblicata da Charlie Bilello (Chief Market Strategist di Creative Planning, società di gestione patrimoniale con oltre 350 miliardi di dollari in asset under management e consulenza), diffusa originariamente il 31 dicembre 2022.

In quella tabella, Bilello presentava le performance annuali del portafoglio 60/40 dal 1928 al 2022 (in valuta dollaro), offrendo un quadro storico prezioso. Analizzandola con attenzione e aggiornandola ai giorni nostri, emergono riflessioni interessanti. È vero che i numeri, pur essendo oggettivi e inconfutabili, non possono prevedere il futuro; tuttavia, il passato ci fornisce un percorso, una traccia utile su cui costruire ragionamenti più consapevoli.

Fonte: aggiornato al 2.7.2025 con dati di Charlie Billello https://x.com/charliebilello/status/1609197936843411458
Fonte: aggiornato al 2.7.2025 con dati di Charlie Billello https://x.com/charliebilello/status/1609197936843411458
  1. Solo in 5 occasioni (evidenziate nella tabella con la cella gialla) le due componenti — azionaria e obbligazionaria — hanno chiuso l'anno entrambe in negativo.

  2. Il portafoglio ha chiuso in positivo nell’80% dei casi su base annua, mentre solo nel 20% dei casi ha registrato una performance negativa.

  3. Su un orizzonte di 3 anni rolling, il 93% delle osservazioni si è chiuso in positivo, con una performance media cumulata del +30,32%. Il miglior triennio è stato 1995–1997 con un +70,2%, mentre il peggiore è stato 1929–1931 con un -43,9%.

  4. Solo il 7% delle finestre triennali si è concluso in perdita, con una performance media negativa del -16,96%.

  5. Su un orizzonte di 5 anni rolling, il 96% delle osservazioni ha chiuso in positivo, con una performance media cumulata del +48,5%. Il miglior quinquennio è stato 1995–1999 con un +102,6%, mentre il peggiore, comunque positivo, è stato 1970–1974 con un +11,8%.

  6. Solo il 4% delle finestre quinquennali ha chiuso in rosso, con una performance media negativa del -14,0%. Il periodo peggiore è stato 1928–1932 con un -19,0%.

  7. Su un orizzonte di 7 anni rolling, il portafoglio non ha mai chiuso in negativo (0% dei casi).

  8. Il 100% delle osservazioni su 7 anni si è concluso in positivo, con una performance media cumulata del +65,4%. Il periodo migliore è stato 1980–1986 con un +111,7%, mentre il peggiore, pur sempre positivo, è stato 1968–1974 con un +12,6%.

    L'effetto tempo sui rendimenti
    L'effetto tempo sui rendimenti

Tutti i rendimenti riportati sono cumulati e raccontano la capacità storica del portafoglio 60/40 di premiare la pazienza degli investitori e di superare le fasi di mercato più complesse.


Come costruirlo

Replicare un portafoglio con una composizione 60/40 si può fare utilizzando diversi strumenti finanziari, e su questo punto le opinioni degli operatori del settore e dei singoli investitori possono divergere notevolmente. Tuttavia, se rimaniamo su un’impostazione “basica” ed essenziale, possiamo costruirlo con due semplici ETF a replica passiva: l’iShares Core S&P 500 ETF USD Acc EUR (ISIN: IE00B5BMR087) per la componente azionaria e lo SPDR Bloomberg Global Aggregate Bond ETF USD EUR (ISIN: IE00B43QJJ40) per la componente obbligazionaria. (Attenzione: NON è un consiglio finanziario e l'esempio indicato è solo a fini didattici).

Anche una struttura così semplice può risultare efficace nel tempo, ma se vogliamo restare fedeli alla logica dei numeri che abbiamo analizzato in precedenza e all’approccio mostrato nel grafico a istogramma, sarebbe opportuno sostituire l’ETF obbligazionario con un titolo obbligazionario a tasso fisso, preferibilmente sovranazionale.

Perché questa scelta? Un ETF obbligazionario non ha una scadenza prestabilita e, per sua natura, non può garantire una performance positiva in un determinato orizzonte temporale. Un titolo obbligazionario sovranazionale — emesso da organizzazioni o istituzioni create da più Stati (come la World Bank, il FMI, la FED o la BCE) — presenta invece un livello di protezione molto elevato, vicino al 100%, purché venga mantenuto fino a scadenza, a prescindere dalle oscillazioni di prezzo intermedie.

E quale scadenza scegliere? Almeno sette anni. Se è vero che, storicamente, su un orizzonte di sette anni rolling il portafoglio non ha mai registrato una performance negativa, allora possiamo davvero lasciarci guidare dai numeri. Non credete?


Conclusioni

Naturalmente, a partire da questo primo punto di osservazione, le variabili e le possibili personalizzazioni sono infinite. Ed è proprio qui che entra in gioco il valore aggiunto di un consulente o di un gestore di fiducia: aiutare ciascun investitore a individuare il proprio percorso unico, in linea con i propri obiettivi di vita.

Qualunque sia la strategia scelta, il mezzo utilizzato o la meta da raggiungere, c’è un elemento imprescindibile: la disciplina. Seguire con coerenza e costanza la strada definita nel tempo è ciò che determina la reale differenza, sia in termini di convinzione personale che di manutenzione del portafoglio.

Buon viaggio.

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