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Pillole di Mercato

(52° settimana - anno 2025)

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Citazione del giorno:

George Orwell: “E tu, adesso che mi hai visto veramente, riesci ancora a guardarmi?”

 

Questa settimana è successo molto. Dopo il FOMC della scorsa, sono arrivati due dati chiave che aggiungono un tassello importante alla mappa e ci aiutano a capire come potrebbe muoversi la banca centrale, e in parte l’economia, nella prima fase del 2026. Entriamo dunque negli ultimi numeri su occupazione e inflazione perché, stando alla narrativa prevalente, soprattutto sul fronte dei prezzi avremmo dovuto vedere reazioni di mercato ben più forti. Non è accaduto. E il motivo è sempre lo stesso: in economia non vale la regola meccanica “se A allora B”. Se fosse così, saremmo tutti ricchi. Partiamo dal lavoro. Il mercato occupazionale americano non sta collassando, ma ha perso una qualità che la Fed aveva quasi dato per scontata: la prevedibilità. A novembre i non-farm payrolls sono aumentati di 64.000 unità dopo il crollo di ottobre (-105.000), mese distorto dallo shutdown e dal settore pubblico. Presi insieme, i due dati dicono che la creazione di posti è debole, irregolare, soggetta a revisioni continue. Non c’è una traiettoria pulita del “rate of change”, ma strappi e discontinuità che rendono il quadro meno leggibile. Il tasso di disoccupazione è salito al 4,6%, massimo dal 2021, segnalando un raffreddamento che non riguarda solo i flussi di assunzione, ma tocca la tenuta complessiva del mercato del lavoro. Allo stesso tempo non vediamo stress improvviso sui licenziamenti: le jobless claims sono scese di 13.000 a 224.000, un range storicamente coerente con un mercato ancora “sano”, e la media a quattro settimane a 217.500 non indica ondate di tagli. In sintesi: si assume meno, ma non si licenzia in massa. È il raffreddamento graduale che raccontiamo da mesi, non una rottura. Passiamo ai prezzi. Non è una novità: l’inflazione non è esplosa come molti temevano. Lo si vede non solo nell’ultima lettura, ma nel profilo delle variazioni e del loro ritmo. A novembre l’headline CPI scende al 2,7% a/a, il core al 2,6%: entrambi sotto attese e ai minimi dal 2021. Sulla carta, la pressione inflattiva rallenta; e qualcosa si muove anche nei servizi, il cuore “sticky” dell’indice, dove la disinflazione che Powell evoca da mesi inizia a comparire. Ma qui arriva la cautela: questi numeri non nascono in condizioni normali. La lunga chiusura del governo ha bucato la raccolta statistica su componenti chiave (affitti, housing services); per colmare i vuoti, il BLS ha trascinato forward alcuni prezzi come se fossero invariati. Per confermare la tendenza serviranno almeno altre due letture coerenti: è come misurare la febbre con un termometro che a tratti si spegne e usare il valore del giorno prima. Risultato: un’inflazione che su carta appare più fredda di quanto lo sia nella realtà. Messaggio netto: l’inflazione non è il “mostro” temuto nei mesi dei dazi; è fastidiosa, ma non allarmante. Ed ecco il punto: quanto (poco) si sono mosse le aspettative sui tagli dopo la pubblicazione. Teoricamente, inflazione in discesa e lavoro che si raffredda gradualmente dovrebbero convalidare il mercato, che continua a prezzare più tagli rispetto al dot plot per il 2026. In pratica, la reazione è stata tiepida. Il mercato sembra dire: “ok, vediamo tutto questo, ma c’è qualcosa che non torna”. L’elemento chiave è l’incertezza: lo shutdown ha ritardato e distorto i dati, rendendo più difficile avere una fotografia pulita proprio su lavoro e inflazione. La Fed lo sa, gli investitori lo sanno. Postura prudente: nessuno vuole prendere decisioni strutturali su numeri potenzialmente imperfetti. Lo si legge nel dot plot: quando i puntini sono dispersi, non è un dettaglio tecnico, è una spaccatura. C’è chi spinge per tagliare per difendere l’occupazione, chi vuole una pausa lunga, chi teme un ritorno d’inflazione. Non è tanto il livello dei tassi a pesare, ma l’assenza di una direzione chiara: il mercato detesta l’ambiguità. Non a caso Powell ribadisce “meeting by meeting” con condizioni finanziarie ancora restrittive. Ma i dati avanzano “a scatti” e la “stella polare” risulta offuscata. Finché resterà così, il mercato faticherà a essere soddisfatto, anche perché è posizionato per più tagli di quelli indicati dalla Fed: ogni deviazione di inflazione o occupazione può amplificare la volatilità e spostare in modo sproporzionato le curve dei tassi. Uno sguardo al Giappone. La narrativa dei tassi a zero è al capolinea: la BoJ ha alzato ancora, portando il riferimento allo 0,75%, massimo dal 1995. Il decennale ha superato il 2% (non accadeva dal 1999) e il ventennale ha sfiorato il 3%, con implicazioni dirette: tassi reali che rimangono “significativamente negativi” e finanze ancora accomodanti, ma disponibilità a stringere se si consolida il meccanismo salari-prezzi. Inflazione sopra target da 44 mesi (2,9% a novembre), salari in crescita anche nel 2026, ma PIL debole (-0,6% t/t nel terzo trimestre; -2,3% annualizzato). Il Giappone “banca del mondo” non esiste più: il carry trade in yen non è più un pilastro stabile. Con rendimenti domestici più interessanti, i grandi investitori possono rientrare, riducendo la domanda strutturale di Treasury e spingendo verso l’alto i rendimenti USA, soprattutto sulle scadenze lunghe. In parallelo, sale la sensibilità del servizio del debito giapponese: un equilibrio delicato che renderà il 2026 da monitorare molto da vicino. Europa. La fotografia è quasi speculare: mentre altrove si parla di tagli, la BCE resta ferma (depositi al 2% per il quarto meeting, refi al 2,15%). La motivazione è lineare: crescita che tiene meglio del previsto e inflazione vicina all’obiettivo. A novembre l’Eurozona è al 2,1%; le proiezioni vedono un sentiero ordinato (2,1% nel 2025; 1,9% nel 2026; 1,8% nel 2027; ritorno al 2% nel 2028). Sul PIL, lievi upgrade: 1,4% nel 2025; 1,2% nel 2026; 1,4% nel 2027-2028. Nessun boom, nessuna recessione imminente. Lagarde resta rigorosamente data-driven e “meeting by meeting”, ma il sottotesto è chiaro: la domanda interna tiene, il contesto globale è fragile. Nelle sfumature, i falchi (Schnabel) pesano i rischi inflazionistici più di quelli ciclici e non escludono addirittura un rialzo nel 2026; altri ricordano che non si può tollerare troppo a lungo un’inflazione sotto target. In pratica: pausa sì, ma non tranquilla; è un’attesa vigile mentre servizi e salari continuano ad alimentare il dibattito interno. In conclusione, i dati post-FOMC avrebbero potuto accendere il “via libera” al percorso di tagli prezzato dai mercati, ma la qualità informativa imperfetta (effetto shutdown), la dispersione del dot plot e i segnali incrociati su occupazione e servizi tengono gli investitori cauti. Il regime resta quello di un raffreddamento graduale con liquidità meno ostile, ma senza bussola unica. Il 2026 si giocherà su tre assi: conferma della disinflazione nei servizi USA, normalizzazione prudente della BoJ (con possibili rientri di capitali) e una BCE in equilibrio tra salari e crescita. In assenza di una direzione chiarissima della Fed, la disciplina nel ribilanciamento conterà più delle scommesse direzionali. La settimana che conduce al Natale si presenta più corta e condizionata dalle festività, ma non priva di appuntamenti macroeconomici di rilievo, soprattutto concentrati tra lunedì e martedì, prima della chiusura progressiva dei mercati internazionali. Lunedì l’attenzione si apre sull’Asia, con la decisione sui tassi della PBoC. In Europa sono attesi i dati sul PIL del terzo trimestre, mentre in Italia verranno pubblicati i prezzi alla produzione di novembre. Martedì sarà la giornata più densa della settimana. In nottata arriveranno i verbali della RBA, che potrebbero offrire indicazioni sulle prossime mosse di politica monetaria australiana. In mattinata, dalla Spagna giungeranno i dati su PIL del terzo trimestre e prezzi alla produzione, mentre l’Italia pubblicherà la bilancia commerciale di novembre. Nel pomeriggio l’attenzione si sposterà sugli Stati Uniti, con una serie di indicatori chiave: l’occupazione ADP, il PIL e l’indice PCE del terzo trimestre, la produzione industriale, la fiducia dei consumatori Conference Board, l’indice manifatturiero Fed Richmond e le vendite di case nuove. Mercoledì, con i mercati che iniziano a ridurre l’operatività in vista delle festività natalizie, sono comunque previsti alcuni dati rilevanti. In Giappone verranno diffusi i verbali della Bank of Japan, mentre dagli Stati Uniti arriveranno gli ordini di beni durevoli, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione e i dati settimanali su scorte e produzione di greggio. Le Borse statunitensi chiuderanno anticipatamente alle 19:00. Giovedì 25 dicembre i mercati resteranno chiusi per le festività natalizie. La settimana si chiuderà venerdì 26 dicembre, con le Borse del Vecchio Continente chiuse. L’attenzione sarà quindi rivolta esclusivamente al Giappone, che pubblicherà una serie di dati macro importanti, tra cui inflazione di dicembre, inflazione di Tokyo, tasso di disoccupazione di novembre, produzione industriale e vendite al dettaglio.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,34%, China A50 -0,00%, Hang Seng ha chiuso +0,64%, il Nikkei +1,32%, l’Australia +0,47%, Taiwan +0,83%, la Corea del Sud Kospi +0,74%, l’indice Indiano Sensex +0,54%. Il nostro FTSEMib +0,66%, Dax chiuso +0,37%, Ftse100 +0,61%, Cac40 +0,01%, Zurigo +0,27%. Lo S&P500 +0,88%, il Nasdaq +1,31%, il Russell2000 +0,86%. L’oro ha chiuso a 4.387,30 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 56,52$ per il wti e 60,47$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 28,161. Lo spread BTP/BUND 64,570. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 14,91%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,34%, China A50 -0,00%, Hang Seng ha chiuso +0,64%, il Nikkei +1,32%, l’Australia +0,47%, Taiwan +1,64%, la Corea del Sud Kospi +0,74%, l’indice Indiano Sensex +0,54%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura poco sotto la parità mentre gli Stati Uniti sono positivi. L’oro si attesta a 4.434,65 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 57,10$ per il greggio e 61,08$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 88.816 e l’Ethereum 3.024.

 

Buona giornata e Buon Natale a tutti. Le “Pillole di Mercato” torneranno il 7.1.2026

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