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Pillole di Mercato

(49° settimana - anno 2025)

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Citazione del giorno:

Socrate: “Non posso insegnare nulla a nessuno. Posso solo spingerli a riflettere”

 

È appena iniziato il più grande match di ping pong del mondo e i protagonisti non sono campioni sportivi: è una partita serrata tra mercati, banca centrale e investitori, ciascuno impegnato a inseguire le proprie aspettative. Negli ultimi giorni i listini si muovono con una volatilità tale da far sembrare tutto privo di logica, con scenari che cambiano alla velocità della luce; eppure, per chi investe con un processo, si affida ai dati e non si lascia trascinare dalle emozioni, questo è stato un periodo d’oro. Chi ha gridato alla recessione o alla bolla dell’intelligenza artificiale si è trovato spesso smentito dai fatti. La domanda vera allora è cosa stia succedendo: un giorno si parla di sopravvalutazioni, il successivo di carenza di liquidità, poi si torna sui tagli dei tassi -prima dati per certi a dicembre, poi messi in dubbio, poi di nuovo probabili. È comprensibile che il quadro risulti difficile da seguire, e proprio per questo vince chi mantiene un processo solido e filtra il rumore. Nel frattempo, Bitcoin rimbalza, gli indici risalgono, l’oro avanza e i rendimenti scendono: tutto coerente con la dinamica delle attese sui tassi, passate da un 90% a fine ottobre a un 30% nelle settimane successive, per poi risalire verso l’80%, riaccendendo il risk-on. Il comune denominatore è l’incertezza, il vero veleno dei mercati, che affonda le radici nell’assenza di una direzione chiara nei dati. Lo shutdown ha reso complesso orientarsi, come viaggiare con la bussola ma senza la cartina: molte letture disponibili si fermano a settembre, e per la Fed non è semplice definire una rotta. Il board, inoltre, non si muove mai come un blocco monolitico: c’è chi teme di intervenire troppo presto mettendo a rischio i progressi sull’inflazione e chi, invece, si dice pronto a tagliare se gli indicatori dovessero indebolirsi. Questa dialettica interna, percepita immediatamente dai mercati, fa oscillare le aspettative a ogni sfumatura verbale. Negli ultimi giorni, John Williams ha parlato di margini per ridurre i tassi “nel breve termine”, Mary Daly ha aperto a un taglio già a dicembre e Stephen Miran ha invocato interventi più ampi pur con un’inflazione ancora sopra il target. Sullo sfondo, i dati macro restano misti: la disoccupazione di settembre è salita al 4,4%, massimo dal 2021, mentre le nuove richieste di sussidio sono scese ai minimi da gennaio; il PPI racconta un’inflazione “alla produzione” ancora appiccicosa ma non fuori controllo. In dettaglio, la componente beni è avanzata dello 0,9% e il core soltanto dello 0,1%, con circa il 60% del +0,9% imputabile alla benzina - notoriamente volatile - e i beni alimentari su minimi pluriennali, mentre i servizi sono rimasti invariati, segnale che la normalizzazione dei prezzi procede a velocità diverse ma continua. Sul fronte dei consumi, le vendite al dettaglio hanno rallentato: +0,2% sul mese, sotto attese e precedente, con ex auto e carburanti a +0,1% e il “control group” in lieve calo a –0,1%, indicazione di domanda core più debole; eppure, in prospettiva più ampia, la spesa resiste, trainata soprattutto dalle fasce di reddito più alte. I PMI, infine, delineano un’economia tutt’altro che in contrazione: manifattura stabile, servizi in espansione, ordini e produzione in crescita moderata; nulla che suggerisca urgenza di allentare in modo aggressivo. Mettendo insieme i pezzi, emerge il quadro che ripetiamo da mesi: l’economia USA rallenta ma non cade, lontana per ora da una recessione. Per questo l’attenzione non è solo sul “se” di dicembre ma soprattutto sul “dopo”, dato che il mercato continua a prezzare più tagli di quanti la Fed lasci intendere. Se la crescita resterà solida, sarà difficile immaginare un ciclo largo di riduzioni; e un mancato allineamento tra aspettative e realtà verrebbe presumibilmente punito. In termini operativi, un vero ciclo di tagli richiede tre condizioni: rallentamento dell’economia, discesa dell’occupazione e inflazione che non risale. Diversamente, si parla di tagli “di gestione del rischio”, come li ha definiti Powell. I modelli segnalano peraltro una fase di transizione di regime, con il passaggio da una stagflazione attenuata verso un contesto “Goldilocks” di espansione moderata: crescita stabile, inflazione in banda gestibile e mercato del lavoro complessivamente solido. In questi ambienti le banche centrali tendono a muoversi con cautela, perché l’equilibrio è fragile e interventi prematuri possono fare più danni che benefici. Per chi guarda il portafoglio con lente macro, individuare il regime è decisivo perché orienta, per via statistica, la sensibilità degli asset; in un’espansione moderata storicamente brillano tecnologia, consumi discrezionali e materie prime industriali, mentre diventano più vulnerabili il dollaro, parte della finanza e le difensive più care. Resta allora la domanda: a chi serve davvero un taglio oggi, al mercato che lo ha già scontato oppure all’economia reale che, numeri alla mano, non mostra cedimenti improvvisi? La verità è che questo impulso nasce più dall’istanza del mercato che da un’urgenza macro. Nel frattempo, la volatilità va e viene, i picchi del VIX riflettono la mancanza di direzione e i listini alternano strappi e arretramenti; eppure, tra tassi ancora alti, valutazioni tese, liquidità meno abbondante e servizi “sticky”, si intravede la consueta dinamica di fine anno. Il cosiddetto Santa Claus Rally non è una leggenda: negli ultimi trent’anni si è manifestato in circa due terzi dei casi, con performance mediamente positive nella settimana che precede la chiusura d’anno, spesso per una sorta di “sospensione del giudizio” che rinvia i nodi a gennaio. È ciò che si respira anche oggi: una pausa natalizia che non cancella i problemi strutturali ma li posticipa. In conclusione, i mercati sembrano aver imboccato questa pausa, mantenendo la divergenza tra tagli attesi e tagli probabili: se le riduzioni non dovessero materializzarsi secondo la traiettoria scontata, una ri-ancoraggio dei prezzi è più che plausibile. La domanda da ripetersi, quindi, resta sempre la stessa: esiste una ragione macro per un ciclo di allentamento? La mia bussola rimane il processo, non le emozioni: l’economia americana tiene, ci stiamo muovendo verso un regime di espansione moderata e, finché le aspettative di taglio oscillano, i mercati resteranno ipersensibili a ogni variazione di probabilità. La partita di ping pong tra dati incompleti, comunicazione della Fed e aspettative del mercato ha spinto i prezzi come una pallina che accelera a ogni scambio, ma sotto la superficie emerge un’economia che rallenta senza deragliare, un’inflazione che si normalizza a ondate e una banca centrale che preferisce gestire il rischio più che inaugurare un vero ciclo di tagli. In questo contesto, la disciplina del processo batte l’istinto: selezione, qualità degli utili e gestione della liquidità contano più del “titolo del giorno”, mentre l’eventuale rally di fine anno resta un fenomeno statistico da cavalcare con misura, sapendo che la resa dei conti, se ci sarà, appartiene a gennaio. L’agenda macroeconomica che va dal 1° al 5 dicembre 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. La settimana si apre lunedì 1 dicembre con una raffica di indicatori manifatturieri provenienti da tutte le principali economie globali. Durante la notte arriveranno il PMI manifatturiero giapponese e quello cinese elaborato da RatingDog. In Europa seguiranno i PMI manifatturieri di Spagna, Italia, Francia, Germania, dell’Eurozona e del Regno Unito. Il quadro globale sarà completato nel pomeriggio con il PMI manifatturiero USA e, soprattutto, con l’ISM manifatturiero, uno degli indicatori più monitorati dai mercati per anticipare l’andamento del ciclo economico statunitense. Martedì 2 dicembre partirà con il dato giapponese sulla fiducia dei consumatori, seguito dalla variazione dell’occupazione in Spagna. In tarda mattinata l’attenzione si sposterà sull’Italia, che pubblicherà il tasso di disoccupazione di ottobre, mentre l’Eurozona diffonderà i dati di inflazione di novembre e quelli relativi alla disoccupazione. L’agenda si completerà con i prezzi alla produzione italiani. Mercoledì 3 dicembre in Asia usciranno i PMI servizi e composito giapponesi, seguiti dal PIL australiano del terzo trimestre e dai PMI servizi e composito cinesi. In mattinata l’Europa pubblicherà l’intero set di indicatori PMI servizi e composito per Spagna, Italia, Francia, Germania, Eurozona e Regno Unito. Dall’Eurozona arriveranno inoltre i prezzi alla produzione di ottobre. Nel pomeriggio, l’attenzione passerà sugli Stati Uniti, con il dato sull’occupazione ADP di novembre, i PMI servizi e composito, l’ISM servizi e, come ogni mercoledì, i dati EIA sulle scorte e la produzione di greggio. Giovedì 4 dicembre la sessione asiatica porterà la bilancia commerciale australiana, mentre in tarda mattinata l’Eurozona pubblicherà le vendite al dettaglio di ottobre. Nel pomeriggio saranno gli Stati Uniti al centro dell’attenzione con i dati settimanali sui sussidi di disoccupazione. La settimana si chiuderà venerdì 5 dicembre con un calendario ricco di pubblicazioni. Durante la notte il Giappone comunicherà i consumi delle famiglie, mentre all’apertura europea arriveranno gli ordini alle fabbriche tedeschi, l’indice dei prezzi delle abitazioni Halifax nel Regno Unito e, dalla Francia, la bilancia commerciale e la produzione industriale di ottobre. Seguiranno la produzione industriale spagnola e le vendite al dettaglio italiane. L’Eurozona completerà il quadro con il PIL e la variazione dell’occupazione del Q3. Nel pomeriggio gli Stati Uniti pubblicheranno i beni durevoli di settembre, gli ordini alle fabbriche e la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,28%, China A50 -0,18%, Hang Seng ha chiuso -0,29%, il Nikkei -0,07%, l’Australia -0,04%, Taiwan +0,26%, la Corea del Sud Kospi -1,48%, l’indice Indiano Sensex +0,13%. Ilnostro FTSEMib +0,32%, Dax chiuso +0,29%, Ftse100 +0,27%, Cac40 +0,29%, Zurigo +0,09%. Lo S&P500 +0,54%, il Nasdaq+0,65%, il Russell2000 +0,58%. L’oro ha chiuso a 4.269,80 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 58,55$ per il wti e 62,38$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 28,817. Lo spread BTP/BUND 71,500. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 16,35%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE 

I listini dell’Asia si avviano a chiudere misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,52%, China A50 +0,27%, Hang Seng ha chiuso +0,66%, il Nikkei -1,87%, l’Australia -0,57%, Taiwan-1,03%, la Corea del Sud Kospi -0,29%, l’indice Indiano Sensex +0,19%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura negativa così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 4.263,60 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 59,78$ per il greggio e 63,62$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 86.172 e l’Ethereum 2.833.

 

Buona giornata e buona settimana.


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