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Pillole di Mercato

(48° settimana - anno 2025)

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Citazione del giorno:

Miguel de Cervantes: “Combattiamo contro tre giganti: l’ingiustizia, la paura e l’ignoranza”

 

Sono certo che più di qualcuno, almeno una volta questa settimana, si sia fermato a pensare: “Perché diavolo stanno scendendo i mercati?” E soprattutto: com’è possibile che arretrino anche dopo le trimestrali record di Nvidia, il campione indiscusso che sembra sorreggere l’intera macchina economica dell’intelligenza artificiale? Provo a rispondere in modo chiaro, collegando solo dati oggettivi per unire i puntini. Sui mercati non esiste mai una sola ragione che muove i prezzi: a volte un evento isolato, un cigno nero, domina la scena, ma nella maggior parte dei casi ciò che vediamo è la somma di fattori che agiscono insieme. Per capire cosa sta accadendo, occorre tornare a due elementi che hanno guidato quasi tutto il rialzo di quest’anno: la crescita dell’AI e le aspettative sui tagli dei tassi. Il giorno successivo agli utili di Nvidia l’aria sembrava cambiata: nel pre-market il titolo è schizzato oltre +5%, AMD è salita del +4%, altri nomi del comparto hanno segnato +7% e perfino +9%. Per qualche ora il settore AI è tornato a brillare come non accadeva da settimane. Ma l’entusiasmo è durato poco: all’apertura si è inceppato qualcosa, prima un rallentamento poi un’inversione, Nvidia dal +5% è scivolata a chiudere in negativo e il Nasdaq, partito a +2%, ha terminato a -2%, una delle montagne russe più rapide e violente degli ultimi mesi. Perché? Torniamo a circa un mese fa, in area massimi storici. Il 28 ottobre Jerome Powell ha pronunciato la frase che ha gelato i mercati: “Un taglio dei tassi a dicembre non è certo.” Da mesi gli operatori si sono posizionati scontando più tagli di quanti la banca centrale intenda effettivamente fare. Il punto è che i mercati avevano già digerito tutto nei prezzi: quei tagli “in più” erano incorporati come se il finale del film fosse già scritto. Dall’estate si prezzavano sei riduzioni contro le tre della Fed e, per un attimo, è parso che avesse ragione il mercato: qualche segnale di raffreddamento dal lavoro, inflazione alta ma sotto controllo, dazi rumorosi ma gestibili. Poi, tra fine settembre e ottobre, la narrativa ha iniziato a cambiare: l’economia USA si è rivelata più resiliente del previsto, l’inflazione è rimasta appiccicosa e il mercato del lavoro, come abbiamo visto e vedremo, si è raffreddato senza cedere. È diventato naturale chiedersi, anche per la Fed: perché mai portare avanti un’agenda di tagli “fissi” senza motivi stringenti? La verità è semplice: al momento non ci sono i presupposti per tagliare al ritmo che il mercato ha prezzato per mesi. A complicare il quadro è arrivato lo shutdown più lungo della storia americana, 43 giorni di blocco: una quantità enorme di dati macro - chiave per leggere inflazione e lavoro - non sono usciti. Per i mercati è diventato difficile capire come posizionarsi e per la Fed ancora più complicato orientarsi sul famoso taglio di dicembre. Qualche riferimento però l’abbiamo avuto: indicatori come ISM e ADP hanno confermato un’economia resiliente, un mercato del lavoro che rallenta ma non crolla e un’inflazione appiccicosa. A dare un quadro più nitido sono arrivati NFP e disoccupazione, pubblicati ora in ritardo e riferiti a settembre: 119 mila nuovi posti, ben sopra sia la media dei mesi precedenti sia le attese a 50 mila, crescita concentrata in servizi, hospitality, education, health care e governo, mentre manifattura, trasporti, logistica e business services hanno tagliato. Il messaggio è chiaro: il mercato del lavoro non cresce in modo uniforme, ma sbilanciato, con aree ancora solide e altre più fredde. Il tasso di disoccupazione è salito al 4,4% dal 4,3%, massimo a quattro anni ma ancora basso in prospettiva storica: non è tanto il numero, ma il perché. Dentro il dato, 251 mila persone hanno trovato lavoro ma circa 450 mila sono entrate nella forza lavoro: più gente ricomincia a cercare rispetto a chi effettivamente trova impiego subito; la differenza - circa 220 mila - fa salire il tasso, anche se i payroll crescono. È un meccanismo che confonde: il tasso sale non perché “c’è crisi”, ma perché più persone tornano attive. La partecipazione è salita al 62,4%, massimo di mesi, segno che l’economia si muove ancora in modo sano. Le retribuzioni orarie medie sono aumentate dello 0,2% su mese e del 3,8% su anno, letture lievemente sotto il consenso, ma coerenti con un raffreddamento graduale. Nel complesso, il quadro dice che il lavoro rallenta ma resta stabile, lontano da una crisi. Coerentemente, dopo la frase di Powell e man mano che i dati uscivano, le probabilità di un taglio a dicembre sono scese dal 90% al 60%, poi al 50% e infine intorno al 30%. Il punto non è solo lo stato dell’occupazione o la tenuta dell’inflazione, ma anche l’incertezza ancora pesante. Lo shutdown ha creato un buco nella raccolta dei dati: molti indicatori non sono stati aggiornati in tempo, rendendo più difficile il lavoro di tutti, compresa la Fed. Il report sul lavoro di settembre è arrivato in ritardo, quello di ottobre non uscirà come dato autonomo ma sarà inglobato nella lettura di novembre del 16 dicembre. Traduzione: al meeting del 10 dicembre la Fed arriverà di nuovo senza un quadro completo su prezzi e lavoro, con una fotografia parziale che impone decisioni quasi “a fari spenti”. Non a caso, diversi membri hanno già detto di non attendersi un taglio a dicembre, segnalando la preferenza per una pausa dopo due riduzioni: “restiamo fermi finché non capiamo se l’inflazione è davvero sotto controllo e se il lavoro rallenta come dovrebbe.” Il tono viene percepito più hawkish: prudenza, nessuna fretta di accelerare. Tutto ciò mette in dubbio i tagli “extra” che il mercato aveva caricato sui prezzi. Arriviamo così al cuore pulsante: gli utili di Nvidia. Numeri alla mano, l’azienda sta riscrivendo le regole del settore. In qualsiasi altro contesto avremmo visto un rally senza tentennamenti. Ricavi a 57 miliardi contro stime a 54, guidance a 65 miliardi contro attese a 61, +22% sequenziale e +62% annuo su scala colossale. Il motore resta il data center (51 miliardi), ma la divisione networking è esplosa: +13% trimestre su trimestre e +162% annuo a 8,18 miliardi. Il margine lordo è balzato al 75% e dovrebbe restare su questi livelli anche nel 2026, un dato straordinario nel mondo dei semiconduttori: significa potere di prezzo rilevante con domanda che supera l’offerta. L’operating income è salito da 21 a 36 miliardi in un solo trimestre, l’utile netto da 19 a 31 miliardi; gli asset correnti sono passati a 116 miliardi dagli 80 precedenti, segnale di generazione di cassa rapidissima. È un modello industriale dominante, anni avanti alla concorrenza: server saturi il giorno stesso dell’installazione, generazioni di chip esaurite in prevendita, pipeline pluriennale di centinaia di miliardi. Nvidia oggi è un’infrastruttura dell’AI più che una semplice azienda. E allora perché i mercati non sono saliti? Perché non tutto ruota attorno all’AI e non basta un singolo gigante a rimuovere il prezzo dell’incertezza sui tassi. In questo momento l’attenzione si è spostata sul fronte monetario e lo vedi nei prezzi, che alla fine hanno sempre ragione. I mercati non si muovono in linea retta - per fortuna: il calo attuale appare un ritracciamento fisiologico dopo mesi di salita quasi senza pause, non un cambio di trend strutturale. Nonostante il rumore, i fondamentali USA non mostrano un deterioramento improvviso: l’ISM/PMI di novembre lo conferma, con manifatturiero in lieve rallentamento da 52,5 a 51,9 ma sopra 50 e servizi in salita a 55,0, oltre le attese. L’economia non sta frenando bruscamente: sta tornando a un ritmo più normale. In questo contesto, ribilanciare i portafogli quando mancano dati chiari e si alzano dubbi sui tassi è naturale: dall’euforia si passa a una prudenza costruttiva senza che lo scenario di fondo cambi. A ciò si aggiunge la volatilità, visibile nelle candele più nervose: movimenti rapidi in entrambe le direzioni, alimentati anche dal tema liquidità. Il sistema oggi non è “pieno di soldi” come in passato: TGA sopra 1.000 miliardi, quantitative tightening che continua a drenare, domanda di dollari elevata. Quando la liquidità scarseggia, le oscillazioni aumentano e basta una notizia più forte per muovere gli indici con più violenza. Eppure non emergono segnali di inversione strutturale: i servizi crescono, l’industria regge, l’occupazione rallenta senza cedere e le aziende legate all’AI continuano a produrre numeri impressionanti. I mercati non scendono perché “si è rotto qualcosa”, ma perché non possono salire all’infinito. La settimana ha rimesso al centro una verità semplice - la narrativa dell’AI resta potente ma non sostituisce la bussola dei tassi e dei dati. Nvidia ha dimostrato di essere un’infrastruttura dell’AI, ma la Fed, privata a lungo di informazioni complete, preferisce vedere prima di agire; il mercato, intanto, riscrive prezzi e aspettative, trasformando l’euforia in disciplina. In altre parole, non è il motore a mancare: è il parabrezza che si è appannato. Finché visibilità e liquidità resteranno parziali, vedremo scarti bruschi e prese di profitto; quando il cruscotto dei dati tornerà a pieno regime, scopriremo se questa è stata una semplice sosta ai box o l’inizio di una guida più prudente, ma comunque orientata nella stessa direzione.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso in rosso. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -2,08%, China A50 -1,60%, Hang Seng ha chiuso -1,88%, il Nikkei -2,30%, l’Australia -1,59%, Taiwan -3,61%, la Corea del Sud Kospi -3,79%, l’indice Indiano Sensex -0,87%. Il nostro FTSEMib -0,60%, Dax chiuso -0,80%, Ftse100 +0,13%, Cac40 +0,02%, Zurigo +0,62%. Lo S&P500 +0,98%, il Nasdaq chiuso +,088%, il Russell2000 +2,76%. L’oro ha chiuso a 4.079,50 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 57,81$ per il wti e 62,56$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 30,198. Lo spread BTP/BUND 76,190. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 23,43%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere in positivo. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,23%, China A50 -0,49%, Hang Seng ha chiuso +1,78%, il Nikkei chiuso per festività, l’Australia +1,29%, Taiwan +0,59%, la Corea del Sud Kospi +0,02%, l’indice Indiano Sensex +0,21%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 4.082,85 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 58,19$ per il greggio e 62,10$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 87.047 e l’Ethereum 2.842.

 

Buona giornata e buona settimana.

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