Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri

- 3 giorni fa
- Tempo di lettura: 7 min
(46° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Ferzan Ozpetek: “Nessuno è entrato invano nella tua vita, o è una prova o è un dono”
A volte vediamo delle bolle. A volte possiamo fare qualcosa per evitarle. Altre volte, invece, l’unica mossa vincente è non giocare. Sono parole di Michael Burry, sì, proprio lui, l’uomo che aveva previsto la crisi dei subprime nel 2008, e che già nel 2021 aveva avvertito di un surriscaldamento nelle valutazioni tecnologiche. E ora è tornato. Nel momento più simbolico di questa fase di mercato, Burry ha scritto un post su X, e credimi: non lo ha fatto per caso. Non è mai stato uno che parla per riempire i silenzi. Ogni sua mossa nasce da un’analisi chirurgica dei numeri, letti e interpretati con il suo consueto rigore maniacale. Pochi giorni dopo quel post, ha annunciato di aver aperto una posizione short da 1,1 miliardi di dollari (quasi l’80% del suo portafoglio) con opzioni PUT su Nvidia e Palantir. Proprio ai massimi dell’euforia sull’intelligenza artificiale. Ma non è stato solo lui a scuotere i mercati. Questa settimana si sono fatti sentire anche i CEO delle principali banche mondiali. E non, non è stato un coro rassicurante. Jamie Dimon, il numero uno di JPMorgan, ha avvertito che “i mercati stanno ignorando i rischi sistemici” e che una correzione nei prossimi 12-24 mesi è tutt’altro che improbabile. Jane Fraser, alla guida di Citigroup, ha parlato apertamente di “fragilità sotto la superficie”, aggiungendo che “le valutazioni tech sono tirate all’estremo”. E David Solomon, CEO di Goldman Sachs, ha ricordato con una frase che vale più di mille grafici: “Ogni volta che crediamo nella crescita infinita, il mercato ci riporta alla realtà.” Fin qui, tutto già sentito. Ma la vera notizia non è tanto cosa hanno detto, quanto come hanno reagito i mercati. Perché, a differenza di altre volte in cui parole simili erano scivolate via, questa volta qualcosa si è incrinato. Come se all’improvviso si fosse accesa una lampadina collettiva: forse sì, siamo davvero su valutazioni troppo elevate. Dopo un rally di questa portata è naturale chiedersi se non sia arrivato il momento della correzione. E forse te lo stai domandando anche tu: “Federico, ma quindi siamo in una bolla? Ci sarà un crollo?”. La verità è semplice, ma scomoda: nessuno lo sa. Non lo sa Burry, non lo sanno i grandi di Wall Street, e non lo so nemmeno io. L’unica cosa che possiamo fare, e che cerco sempre di ricordarti, è restare ancorati a un processo solido, concreto, basato sui dati e non sulle emozioni. Perché se un giorno dovesse davvero arrivare una correzione, l’unico modo per affrontarla sarebbe considerarla per quello che è: un’opportunità, non un motivo di panico. Guardiamo allora i numeri. Che molte aziende legate all’intelligenza artificiale abbiano multipli fuori scala non è un’opinione, ma un fatto. L’S&P 500 tratta oggi intorno a 30 volte gli utili attesi, ben oltre la media ventennale di 19, mentre il CAPE di Shiller ha superato quota 40, un livello raggiunto solo tre volte nella storia: nel 1929, alla vigilia della Grande Depressione, nel 2000, prima dello scoppio della bolla dot-com, e nel 2021, in pieno boom post-Covid. Ma più che di valutazioni, preferisco parlare di probabilità. Perché uno dei miti più duri a morire in finanza è quello del “è salito troppo, quindi ora deve scendere”. La storia dice altro: quando un mercato cresce in modo consistente, tende più spesso a consolidare che a crollare. Negli ultimi settant’anni, ogni volta che l’S&P 500 ha chiuso un anno con un guadagno superiore al 24%, nei dodici mesi successivi ha registrato in media un ulteriore +6%, con il 70% di probabilità di chiudere ancora in positivo. Certo, le correzioni intermedie non mancano, anche profonde (tra il -10% e il -15%), ma fanno parte del percorso. È accaduto nel 1985, nel 1996, nel 2013 e nel 2020: dopo ogni rally spinto da liquidità o innovazione tecnologica, è arrivata una fase di assestamento, non un crollo. Ecco perché oggi parlare di “bolla” rischia di essere prematuro. Sì, il mercato è tirato, e una correzione è fisiologica. Ma questo non significa che il ciclo sia finito. Prima di scendere, i listini potrebbero anche continuare a salire, o semplicemente rallentare in attesa che gli utili, che continuano a crescere, seppur più lentamente, si riallineino ai prezzi. Alla fine, non esiste una regola che dica quando “deve” arrivare un ribasso. Esiste solo la preparazione. E questa è la differenza tra chi specula e chi investe: il primo reagisce alla paura, il secondo la include nel processo. Vendere tutto oggi per timore di un calo futuro è come scendere dal treno a metà corsa perché più avanti c’è una curva: comprensibile, ma raramente profittevole. Passando ai dati, quelli che abbiamo (pochi, a causa dello shutdown) ci permettono comunque di leggere il quadro con chiarezza. Il report ADP mostra un mercato del lavoro sorprendentemente solido: a ottobre sono stati creati 42.000 nuovi posti di lavoro, quasi il doppio delle attese. Il rimbalzo è stato guidato dalle grandi imprese, mentre le piccole continuano a soffrire, segno di un’economia sempre più polarizzata. L’indice ISM manifatturiero resta in contrazione (48,7), ma migliora grazie alla ripresa dei nuovi ordini e alla maggiore produzione in settori chiave come automotive e componentistica. Nei servizi, invece, è arrivata la vera sorpresa: l’indice è salito a 52,4, il livello più alto degli ultimi sette mesi. L’economia americana, insomma, continua a mostrare una resilienza notevole. Il problema è che, mentre l’attività resta solida, i prezzi dei servizi tornano a crescere, toccando 58,4, il massimo da maggio 2022. In pratica, le aziende del terziario stanno pagando di più per salari e materie prime. Ed è difficile non collegare questa dinamica ai nuovi dazi di Trump, che hanno già innescato pressioni inflazionistiche. E qui arriviamo al nodo della Fed. Il mercato continua a prezzare più tagli di quelli che la banca centrale sembra intenzionata a concedere. I dati recenti, crescita stabile, occupazione resiliente e prezzi dei servizi in aumento, riducono la probabilità di un intervento a dicembre, passata dal 90% al 60%. Powell lo ha detto chiaramente: “Il problema non è solo l’energia o i beni, ma la rigidità dei prezzi dei servizi.” In altre parole: se l’economia tiene e l’inflazione non scende, non c’è motivo di tagliare i tassi. A rendere il contesto ancora più incerto ci sono due fattori politici che cominciano a pesare anche sui mercati: lo shutdown (ormai il più lungo della storia) e la sentenza della Corte Suprema sui dazi di Trump. Il primo ha paralizzato la pubblicazione dei dati economici e parte dell’amministrazione federale, costringendo la Fed a “navigare a vista”. Il secondo, se dovesse confermare le tariffe, potrebbe spingere ulteriormente l’inflazione; se invece le sospendesse, aumenterebbe l’incertezza geopolitica. È questo il paradosso di fine 2025: mercati apparentemente tranquilli, ma sotto la superficie si muovono forze contrapposte, politiche, giudiziarie e monetarie, pronte a cambiare rotta in poche settimane. Ecco perché, più che mai, serve lucidità: non per prevedere, ma per prepararsi. L’agenda macroeconomica che va dal 10 al 14 novembre 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. Ricordiamo che molti dati macro degli USA potrebbero essere posticipati finché durerà lo stato di shutdown del governo. La settimana si apre con pochi dati in Asia, ma con attenzione alla Bank of Japan, che diffonderà una sintesi delle opinioni sulla politica monetaria. In Europa, la fiducia degli investitori Sentix per novembre offrirà spunti sull’umore del mercato e sulle aspettative economiche dell’Eurozona. Martedì 11 novembre vedrà la pubblicazione di diversi indicatori dal fronte australiano, con la fiducia dei consumatori Westpac e il Business Confidence NAB, utili per capire l’andamento del sentiment tra famiglie e imprese. Nel Vecchio Continente, focus sul mercato del lavoro britannico e sugli indici ZEW di Germania e Eurozona, che offriranno indicazioni sulle aspettative degli investitori e sul clima economico generale. Negli Stati Uniti arriverà l’indice NFIB di ottobre, indicatore chiave della fiducia delle piccole imprese. Mercoledì 12 novembre l’OPEC pubblicherà il suo report mensile. In Europa, i riflettori saranno puntati sull’inflazione tedesca di ottobre e sulla produzione industriale italiana di settembre. Giovedì 13 novembre sarà una giornata ricca di dati macro: in Australia verranno diffusi i dati sul mercato del lavoro di ottobre, mentre in Gran Bretagna arriveranno PIL Q3, produzione industriale e bilancia commerciale di settembre. In Eurozona, l’attenzione sarà rivolta alla produzione industriale di settembre, mentre negli Stati Uniti spiccano i dati inflazione di ottobre, le nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione e il report EIA su scorte e produzione di greggio. Venerdì 14 novembre si chiude la settimana con un flusso significativo di dati dall’Asia e dall’Europa. Dalla Cina arriveranno indice prezzi abitazioni, produzione industriale, vendite al dettaglio e tasso di disoccupazione di ottobre. In Europa, saranno pubblicati prezzi all’ingrosso in Germania, inflazione in Francia e Spagna, bilancia commerciale italiana, PIL, bilancia commerciale e la variazione occupazionale del terzo trimestre dell’Eurozona. Negli Stati Uniti, attenzione a prezzi alla produzione e vendite al dettaglio di ottobre.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,15%, China A50 -0,46%, Hang Seng ha chiuso -1,10%, il Nikkei -1,14%, l’Australia -0,66%, Taiwan -0,89%, la Corea del Sud Kospi -1,73%, l’indice Indiano Sensex -0,25%. Il nostro FTSEMib -0,35%, Dax chiuso -0,69%, Ftse100 -0,55%, Cac40 -0,18%, Zurigo -0,00%. Lo S&P500 +0,13%, il Nasdaq chiuso -0,21%, il Russell2000 +0,58%. L’oro ha chiuso a 4.009,80 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 59,75$ per il wti e 63,63$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 31,201. Lo spread BTP/BUND 76,69. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 19,08%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,29%, China A50 -0,17%, Hang Seng ha chiuso +1,42%, il Nikkei +1,29%, l’Australia +0,75%, Taiwan +0,79%, la Corea del Sud Kospi +3,18%, l’indice Indiano Sensex +0,60%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione robusta così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 4.076,60 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 60,33$ per il greggio e 64,17$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 106.152 e l’Ethereum 3.602.
Buona giornata e buona settimana.

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