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Pillole di Mercato

(44° settimana - anno 2025)

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Citazione del giorno:

B.J. Miller: “L’uomo fa progetti e Dio ride…eppure non smettiamo di fare progetti”

 

È stata una di quelle giornate in cui il mercato ti mette alla prova, non tanto sulla testa, ma sullo stomaco. Perché la vera fatica, nei mercati, non è capire, è restare calmi quando tutto si muove. Non inseguire, non reagire al rumore, ma continuare a seguire il processo. Questa settimana abbiamo visto il cosiddetto “momentum crash”: un improvviso e meccanico ribaltamento dei flussi, dove gli algoritmi che per mesi avevano comprato le stesse cose, tutti insieme, hanno invertito direzione nello stesso momento. In pochi minuti, i titoli che erano saliti senza sosta hanno cominciato a scendere, ma non era panico, era la macchina che si riequilibrava. Un reset tecnico. In queste fasi, la differenza non la fa chi è più veloce, ma chi riesce a restare lucido. Sul fronte macro, la liquidità torna a essere la chiave. La Fed è ormai vicina a fermarsi, il quantitative tightening è praticamente concluso, il conto del Tesoro americano è pieno, e le riserve bancarie si stanno assottigliando. Powell sa bene che non potrà lasciare il sistema a secco troppo a lungo. Non servirà chiamarlo “QE”, ma nei fatti lo sarà: più liquidità, meno stress, più propensione al rischio. E come sempre, quando la liquidità torna, gli asset rischiosi si muovono per primi. Le azioni riprendono quota, le obbligazioni high yield respirano e perfino le criptovalute tornano a farsi sentire. Ma la storia più interessante della settimana non viene da Washington né da Wall Street, bensì dall’Asia. Dalla Corea del Sud, dove le esportazioni di semiconduttori sono esplose, e dalla Cina, dove i prezzi delle memorie DDR5, cuore dei server di intelligenza artificiale, sono saliti del 40% in poche settimane. È lì che si vede il segnale vero: le aziende stanno comprando, le scorte si stanno ricostruendo, la domanda di AI non rallenta, anzi accelera. Questa settimana mi ha ricordato che le opinioni servono a poco, le narrative ancora meno. I mercati non sono logici, sono vivi. Non si spiegano, si ascoltano. Ed è in quel silenzio che impari davvero a capirli. Finalmente, dopo giorni di attesa per via dello shutdown del governo, è arrivato anche un dato concreto: l’inflazione. Pubblicato in ritardo dal Bureau of Labor Statistics, il dato di settembre ha mostrato un rallentamento inatteso. Il CPI è salito dello 0,3% su base mensile e del 3,0% su base annua, leggermente sotto le attese, mentre la componente core è aumentata solo dello 0,2% nel mese e del 3% annuo, il ritmo più lento degli ultimi tre mesi. Gli affitti, che pesano per un quarto sull’indice, sono cresciuti appena dello 0,1%, il minimo dal 2021. I prezzi delle auto usate e delle assicurazioni sono scesi, mentre quelli di mobili e arredamento, soggetti ai nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump, sono saliti del 3,8% su base annua. Anche qui, le aspettative sono state smentite: l’inflazione da dazi esiste, ma continua a non avere l’impatto temuto. Trump, in un certo senso, aveva ragione: i prezzi non sono esplosi come molti prevedevano. Tuttavia, l’effetto reale dei dazi potrebbe manifestarsi solo nei prossimi mesi, quando le imprese cominceranno a trasferire parte dei costi ai consumatori. Per ora hanno scelto di assorbirli, sacrificando i margini, ma non potranno farlo all’infinito. Il rischio è che l’inflazione torni a scaldarsi nei prossimi mesi, soprattutto se i nuovi dazi entrati in vigore a ottobre dovessero colpire beni di largo consumo. La Fed si trova in una posizione delicata: da un lato l’inflazione rallenta, dall’altro il mercato del lavoro mostra i primi segnali di stanchezza. Powell è in una morsa. Se taglia i tassi rischia di riaccendere i prezzi, se li tiene alti rischia di frenare la crescita. Il mercato però ha già scelto la sua strada: sconta cinque tagli entro fine 2026, contro i tre previsti dalla banca centrale. Ogni dato debole alimenta l’ottimismo e spinge gli indici in alto. Alla pubblicazione del CPI, Wall Street ha reagito in modo composto: S&P 500 in rialzo, Treasury sotto il 4% e dollaro stabile. Ma la prudenza resta d’obbligo, perché basta un segnale contrario per far ripartire le prese di profitto. Sul fronte energetico, Trump ha rilanciato la sua offensiva economica contro la Russia, imponendo sanzioni dirette su Rosneft e Lukoil. L’obiettivo è tagliare i flussi di denaro che finanziano la guerra in Ucraina. Il WTI è balzato sopra i 62 dollari, con un rialzo dell’8% in una settimana. Le raffinerie indiane e alcune società cinesi hanno sospeso gli acquisti di greggio russo, mentre l’OPEC+ ha già fatto sapere che interverrà per evitare squilibri. È un movimento più geopolitico che strutturale, ma con riflessi diretti sull’inflazione: ogni 10 dollari in più sul barile aggiungono circa 0,3 punti percentuali all’inflazione americana, complicando il lavoro della Fed. Anche in Europa l’effetto sarebbe pesante, perché i costi energetici restano una delle principali minacce per famiglie e imprese. E poi c’è l’oro, sceso dopo settimane di rally, con i soliti titoli allarmistici sui giornali. Ma le correzioni, anche forti, fanno parte del gioco: la vera anomalia sarebbe non vedere mai i prezzi scendere. In tutto questo rumore, un tema continua a dominare ogni conversazione: l’intelligenza artificiale. Se ne parla ovunque, nei board aziendali, nei piani industriali, nei talk show finanziari. È la parola magica del momento, paragonata all’arrivo di Internet o dell’elettricità. Eppure, ogni volta che sento la parola “rivoluzione”, la prima cosa che mi viene in mente non è l’entusiasmo, ma la prudenza. Perché tra la realtà e la narrativa c’è sempre una distanza che solo i numeri possono colmare. E i numeri, questa volta, raccontano una storia impressionante. Gli investimenti in infrastrutture AI, server, data center, chip, cloud, sono aumentati del 90% in un anno e si prevede che supereranno i 300 miliardi di dollari nel 2025, più del PIL di interi Paesi europei. L’80% di questa spesa è concentrata in sei aziende: Microsoft, Amazon, Google, Meta, Apple e Nvidia. Quest’ultima ha moltiplicato gli utili di otto volte in due anni, ma con un P/E ormai il 60% sopra la media del settore. Il rischio di euforia esiste, ma c’è una differenza rispetto al passato: questa volta gli utili ci sono davvero. Non parliamo più di promesse, ma di colossi che generano flussi di cassa reali. Microsoft, Alphabet, Meta e Amazon hanno chiuso l’ultimo trimestre con oltre 130 miliardi di profitti combinati, gran parte dei quali legati proprio ai servizi AI. L’AI non è solo un trend di mercato, ma un motore economico vero e proprio: negli Stati Uniti circa il 90% della crescita del PIL del primo semestre proviene da settori collegati a essa, dai semiconduttori ai data center. È la nuova benzina della crescita, ma come ogni carburante rischia di surriscaldare il motore. I multipli sono tornati ai livelli delle grandi euforie di mercato, e i flussi verso gli ETF tematici hanno superato i 40 miliardi di dollari in un solo anno. È la stessa sensazione che si respirava alla fine degli anni ’90, quando bastava dire “tecnologia” per attrarre capitali. Ma la differenza è sostanziale: questa volta i fondamentali reggono. E se vogliamo capire dove stiamo andando, basta guardare a un barometro globale, la Corea del Sud. Le sue esportazioni di chip e componenti AI stanno crescendo a doppia cifra, segnale che la domanda non è solo finanziaria ma industriale. Quando la Corea accelera, l’economia mondiale lo segue. Quando rallenta, è il primo campanello d’allarme. Se i dati coreani dovessero invertire la rotta, significherebbe che il ciclo dell’intelligenza artificiale sta entrando nella sua fase di maturità. Siamo in una bolla? Forse. Ma una bolla non è tale finché non esplode. Siamo in una fase in cui entusiasmo e numeri convivono, in cui la realtà industriale e l’euforia finanziaria si alimentano a vicenda. L’AI è ovunque, spinge la produttività, sostiene la crescita americana e riscrive gli equilibri globali, ma rende anche i mercati più fragili, concentrati e sensibili alle aspettative. La domanda giusta non è se l’AI sia una bolla, ma come la stiamo vivendo. Se la si guarda come un modo per arricchirsi in fretta, lo diventerà. Se invece la si affronta con disciplina, dati alla mano e una visione di lungo periodo, può essere l’inizio di un ciclo economico completamente nuovo. Alla fine, non si tratta di indovinare il futuro, ma di saperlo leggere. E i numeri, oggi, ci dicono una cosa chiara: la rivoluzione è reale, anche se i mercato, come spesso accade, stanno correndo un po’ troppo per starle dietro. L’agenda macroeconomica che va dal 27 al 31 ottobre 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. Ricordiamo che alcuni dati macro degli USA potrebbero essere posticipati finché durerà lo stato di shutdown del governo. Lunedì 27 ottobre i riflettori saranno puntati sulla Cina, che pubblicherà i profitti industriali di settembre. In Europa, la Germania diffonderà gli indici IFO di fiducia delle imprese. Nel pomeriggio, dagli Stati Uniti arriveranno gli ordini di beni durevoli e l’indice manifatturiero della Fed di Dallas, entrambi utili per valutare lo stato del settore industriale americano. Martedì 28 ottobre focus sull’Europa, con il rapporto GfK sulla fiducia dei consumatori tedeschi e gli indicatori di fiducia italiani. Negli Stati Uniti verranno pubblicati l’indice dei prezzi delle abitazioni di agosto, la fiducia dei consumatori del Conference Board e l’indice manifatturiero della Fed di Richmond, indicatori importanti per misurare la tenuta dei consumi e del settore industriale. Mercoledì 29 ottobre sarà una giornata di particolare rilievo per le politiche monetarie. L’Australia pubblicherà i dati sull’inflazione del terzo trimestre, mentre in Europa arriveranno il PIL spagnolo e la bilancia commerciale italiana. Tuttavia, l’attenzione sarà tutta rivolta agli Stati Uniti, dove in serata terminerà la due giorni di riunioni della Federal Reserve, seguita dalla conferenza stampa del presidente Jerome Powell. I mercati cercheranno segnali sulla traiettoria futura dei tassi d’interesse. Giovedì 30 ottobre si parte dal Giappone, con la riunione della Bank of Japan, che potrebbe aggiornare le proprie previsioni macro e offrire indicazioni sull’evoluzione del controllo della curva dei rendimenti. In Europa, sarà pubblicata una raffica di dati chiave: il PIL del terzo trimestre per Germania, Francia, Italia e Spagna, insieme agli indicatori di fiducia dell’Eurozona e ai tassi di disoccupazione nazionali ed europei. Nel pomeriggio, riflettori puntati sulla BCE, che terrà la sua riunione di politica monetaria, seguita dalla conferenza stampa della presidente Christine Lagarde. Dagli Stati Uniti arriveranno importanti aggiornamenti: il PIL del terzo trimestre, l’indice PCE e le nuove richieste di sussidi di disoccupazione. Venerdì 31 ottobre la settimana si chiuderà con una nuova serie di dati macro di rilievo. Dal Giappone arriveranno inflazione, disoccupazione, produzione industriale e vendite al dettaglio, mentre dalla Cina giungeranno i PMI di ottobre. In Europa, focus su vendite al dettaglio tedesche, inflazione italiana ed europea, mentre dagli Stati Uniti si attende il deflatore PCE di settembre - la misura d’inflazione preferita dalla Fed - insieme ai dati su redditi e spesa personale e al PMI di Chicago.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso positivi con poche eccezioni. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,41%, China A50 +1,00%, Hang Seng ha chiuso +0,45%, il Nikkei +1,43%, l’Australia -0,15%, Taiwan -0,42%, la Corea del Sud Kospi +2,43%, l’indice Indiano Sensex -0,30%. Il nostro FTSEMib +0,25%, Dax chiuso +0,13%, Ftse100 +0,70%, Cac40 +0,00%, Zurigo +0,09%. Lo S&P500 +0,79%, il Nasdaq chiuso +1,15%, il Russell2000 +1,24%. L’oro ha chiuso a 4.137,80 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 61,50$ per il wti e 65,20$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 32,016. Lo spread BTP/BUND 79,020. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 16,37%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +1,07%, China A50 +1,03%, Hang Seng ha chiuso +1,14%, il Nikkei +2,38%, l’Australia +0,41%, Taiwan +1,68%, la Corea del Sud Kospi +2,44%, l’indice Indiano Sensex +0,73%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 4.092,19 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 61,91$ per il greggio e 65,58$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 115.430 e l’Ethereum 4.225.

 

Buona giornata e buona settimana.

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