Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri

- 13 ott
- Tempo di lettura: 7 min
(42° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Warren Buffett: “La qualità più importante per un investitore è il temperamento, non l’intelletto”
Il Giappone sembra sempre lontano dal rumore quotidiano dei mercati, eppure è uno dei pedoni più importanti sulla scacchiera globale. In questi giorni lo ha ricordato a tutti la vittoria, meno scontata del previsto, di Sanae Takaichi alla guida del Partito Liberal Democratico. Da lì è partito quello che molti hanno già battezzato “Takaichi trade”: borse in rally, yen in caduta, rendimenti in impennata. La sua prossima nomina a primo ministro ha scosso i mercati: il Nikkei ha superato i massimi storici a 48.000 punti, lo yen è scivolato fino a 152 per dollaro e i tassi sui titoli di Stato sono saliti a livelli che non si vedevano da oltre vent’anni. Takaichi è una figura divisiva: conservatrice e nazionalista, ma anche pragmatica. La sua ricetta è chiara: acceleratore fiscale e monetario, più spesa pubblica e tagli mirati alle tasse per spingere i settori strategici, difesa, semiconduttori, intelligenza artificiale. Una versione “turbo” dell’Abenomics che per un decennio ha guidato il Paese con moneta debole, tassi bassi e crescita a debito. Quella strategia ha evitato una recessione profonda, senza però riaccendere una crescita robusta. Il contesto, però, è cambiato: debito pubblico al 260% del PIL, rendimenti a lunga scadenza in risalita, inflazione tornata sopra il 2% dopo trent’anni di assenza. Spingere ancora sul pedale fiscale può aiutare nel breve, ma rischia di incrinare la fiducia nel medio periodo, accendendo l’inflazione e gonfiando la spesa per interessi. Per capire dove siamo, bisogna tornare indietro. Dopo la bolla immobiliare e azionaria dei primi anni ’90, il Giappone è entrato nella “lunga stagnazione”: crescita anemica, deflazione, salari fermi. La Bank of Japan ha risposto con politiche pionieristiche: tassi a zero dal 1999, Quantitative Easing dal 2001, tassi negativi dal 2016, controllo della curva dei rendimenti. Finché l’inflazione restava vicina allo zero, il modello reggeva: denaro a basso costo per famiglie e Stato, credito accessibile, export competitivo. Poi è arrivata la pandemia, i maxi-stimoli globali e l’inflazione. La Fed e la BCE hanno alzato i tassi rapidamente; Tokyo, intrappolata dal suo stesso esperimento, no. Alla fine, anche la BoJ ha rotto il tabù con un rialzo simbolico di 0,25 punti, segnale che il “grande esperimento” sta finendo. L’inflazione giapponese è risalita per ragioni semplici: onde di liquidità globali che si propagano ovunque, prezzi di beni e materie prime determinati a scala planetaria, e una valuta che ha perso oltre il 50% contro il dollaro dal 2020. La divergenza monetaria ha fatto il resto: tassi USA al 4–5%, Giappone vicino allo zero. Tassi alti rafforzano la valuta, tassi bassi la indeboliscono. Una moneta troppo debole aiuta l’export ma rincara le importazioni, spinge l’inflazione, soprattutto quando il conto energetico dipende dall’estero. È il cane che si morde la coda: se non alzi i tassi lo yen si indebolisce e i prezzi salgono; se li alzi troppo rischi di far esplodere il costo del debito. Qui sta il nodo. La BoJ detiene circa metà del mercato dei JGB, il suo bilancio supera il 130% del PIL, il servizio del debito assorbe già quasi un quarto del budget. Basta un passo falso perché i rendimenti schizzino e la spesa per interessi diventi ingestibile. E oltre alla meccanica c’è la psicologia: dopo trent’anni di tassi bassissimi, basta l’idea di una normalizzazione perché il mercato venda JGB a mani basse. È già successo: il decennale è volato verso l’1,7%, il trentennale oltre il 3,3%. Altri rialzi? Possibili, ma politicamente e finanziariamente delicati. A complicare il quadro c’è il cambio di leadership. Takaichi propone un maxi-pacchetto di stimoli da 30 trilioni di yen, circa il 4% del PIL, finanziato in larga parte a debito. Le borse applaudono, ma la sostenibilità fiscale e la traiettoria dei prezzi tornano sotto i riflettori. E poi c’è il tassello meno visibile ma enorme: il carry trade. Per vent’anni il Giappone è stato la “banca a tasso zero” del mondo. Si prendevano in prestito yen, si cambiavano in dollari o euro, si compravano asset più redditizi. Funzionava perché lo yen era debole e i tassi invariati. Con i costi di copertura oltre il 5% il gioco rende sempre meno: gli investitori giapponesi rientrano, vendono Treasury, riportano capitali a casa. Meno domanda per il debito USA significa rendimenti più alti negli Stati Uniti. È un elastico teso tra Tokyo e Wall Street: quando lo yen si rafforza, può spezzarsi.
Se i rendimenti giapponesi a lunga salissero oltre il 2%, scatterebbero ribilanciamenti a catena: assicurazioni domestiche che tornano sui JGB, banche centrali asiatiche che riducono riserve in dollari, hedge fund che tagliano leva sugli arbitraggi di tasso. E gli Stati Uniti, oggi più che mai, hanno bisogno di acquirenti per il loro debito. Il risultato è la parola che i mercati odiano: incertezza. Quella che cammina a braccetto con la preoccupazione per l’indebitamento e per la svalutazione delle valute fiat. Non è solo Giappone. Negli USA lo shutdown non ha prodotto shock macro immediati, ma alimenta la sfiducia in un quadro già complesso, con la Fed risucchiata nel dibattito politico. In Nuova Zelanda la banca centrale ha tagliato 50 punti base per tamponare un’economia in affanno. In Europa la Germania è ricaduta in recessione tecnica. Molte banche centrali tornano a tagliare pur con un’inflazione che non è del tutto domata: più liquidità, valute più deboli. In mezzo a questo caos c’è un vincitore evidente: l’oro. Ha superato i 4.000 dollari e continua a essere l’àncora nei momenti di stress. I motivi sono chiari: tassi reali più bassi, ruolo di bene rifugio, acquisti record delle banche centrali che diversificano dal dollaro. Alla fine, i mercati si muovono sulle emozioni ma resistono solo con i dati. Chi li legge senza farsi travolgere dal rumore costruisce il vero vantaggio. Il Giappone è il laboratorio dove politica, debito e liquidità si intrecciano in un equilibrio fragile: basta poco per cambiare le regole del gioco. Non è un’eccezione, è un segnale. Il sistema si regge sempre più sulla fiducia e sempre meno sui fondamentali. Per questo l’oro resta, oggi, una delle poche ancore reali in un mare di valute che perdono valore giorno dopo giorno. L’agenda macroeconomica che va dal 13 al 17 ottobre 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. Ricordiamo che alcuni dati macro USA potrebbero essere posticipati a causa dello shutdown del governo federale. La settimana si apre lunedì 13 ottobre con i mercati giapponesi chiusi per festività. In nottata, la Cina diffonde i dati sulla bilancia commerciale di ottobre. L’OPEC pubblicherà il suo report mensile, importante per comprendere le prospettive sulla domanda e offerta di greggio. A partire da lunedì, fino a sabato 18 ottobre, si terranno le riunioni annuali della Banca mondiale e del Fondo Monetario Internazionale. Martedì 14 ottobre l’attenzione si concentra sul settore energetico con il rapporto mensile dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA). In Australia saranno diffusi i verbali della RBA, indicativi della strategia di politica monetaria della Banca centrale australiana. Nel Vecchio Continente, focus sul mercato del lavoro britannico, sull’inflazione tedesca e sugli indici ZEW di Germania ed Eurozona, che offriranno un aggiornamento sul sentiment economico. Dagli Stati Uniti arriverà il rapporto NFIB sulle piccole imprese di settembre. Mercoledì 15 ottobre sarà una giornata ricca di dati. Dalla Cina arriveranno i dati su inflazione e prezzi alla produzione di settembre, mentre in Europa si guarderà alla produzione industriale dell’Eurozona e alle letture dell’inflazione di Germania, Francia e Spagna. Fronte USA l’inflazione di settembre è stata posticipata a venerdì 24 ottobre (Shutdown e dati economici: il BLS riapre per l'inflazione USA), l’indice manifatturiero Empire State NY e il Beige Book della Fed, documento cruciale per valutare lo stato dell’economia americana in vista delle prossime decisioni di politica monetaria. Giovedì 16 ottobre sarà caratterizzato da una raffica di dati di rilievo. Dall’Australia giungeranno le statistiche sul mercato del lavoro, mentre nel Regno Unito verranno pubblicati PIL, produzione industriale e bilancia commerciale di agosto. In Italia si attendono inflazione e bilancia commerciale, mentre per l’Eurozona arriveranno i dati della bilancia commerciale. Negli Stati Uniti il focus sarà su vendite al dettaglio, prezzi alla produzione, nuove richieste di sussidi di disoccupazione, indice manifatturiero Fed di Philadelphia, insieme ai dati sulle scorte di greggio e all’indice NAHB del settore edilizio. Infine, venerdì 17 ottobre la settimana si chiuderà con la pubblicazione dell’inflazione dell’Eurozona e, dagli Stati Uniti, dei dati su permessi di costruzione, nuovi cantieri residenziali e produzione industriale di settembre, elementi chiave per valutare lo stato del mercato immobiliare e la solidità del settore produttivo.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso per lo più negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,65%, China A50 -1,37%, Hang Seng ha chiuso -1,43%, il Nikkei -0,97%, l’Australia -0,13%, Taiwan chiusa per festività, la Corea del Sud Kospi +1,29%, l’indice Indiano Sensex +0,41%. Il nostro FTSEMib -1,74%, Dax chiuso -1,50%, Ftse100 -0,86%, Cac40 -1,53%, Zurigo -0,89%. Lo S&P500 -2,71%, il Nasdaq chiuso -3,56%, il Russell2000 -3,01%. L’oro ha chiuso a 4.000,40 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 58,90$ per il wti e 62,73$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 32,170. Lo spread BTP/BUND 84,990. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 21,66%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,96%, China A50 -1,72%, Hang Seng ha chiuso -2,76%, il Nikkei -1,01%, l’Australia -0,84%, Taiwan -1,71%, la Corea del Sud Kospi -1,44%, l’indice Indiano Sensex -0,27%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva mentre gli Stati Uniti sono molto positivi. L’oro si attesta a 4.090,80 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 59,78$ per il greggio e 63,65$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 114.771 e l’Ethereum 4.134.
Buona giornata e buona settimana.

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