Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri

- 22 set
- Tempo di lettura: 6 min
(39° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Gates B.: “il modo più rapido per cambiare te stesso è frequentare persone che sono già come tu desideri diventare”
È arrivato il momento che i mercati attendevano: dopo cinque riunioni senza muoversi, la banca centrale americana ha finalmente tagliato i tassi di 0,25 punti. Non si è trattato però di una sorpresa: gli investitori lo avevano ampiamente scontato e, come spesso accade, l’attenzione non era sulla decisione in sé, ma su ciò che verrà dopo. La Fed si trova da mesi in una morsa: da un lato un’inflazione ancora sopra il 2% e in progressivo aumento, dall’altro un mercato del lavoro che mostra segnali ripetuti di raffreddamento. La domanda chiave per i mercati, quindi, era capire a quale dei due obiettivi del mandato avrebbe dato più peso. La risposta è arrivata tra le righe: oggi prevale la preoccupazione per l’occupazione. Ma poiché i prezzi riflettono le aspettative future, gli operatori volevano soprattutto indicazioni su “quanto” e “a che ritmo” proseguiranno i tagli. Qui emergono le differenze. Dopo la comunicazione di giugno il mercato si aspettava cinque tagli entro la fine del 2026, la Fed ne vedeva tre. Ora la banca centrale si è leggermente avvicinata alle attese, passando dal 3,6% di giugno al 3,4% di settembre come stima per il tasso a fine 2026, un aggiustamento modesto pari a circa 20 punti base in più di allentamento rispetto a prima. In soldoni, tra 2025 e 2026 gli investitori continuano a prezzare circa 133 punti base complessivi di tagli (incluso quello di settembre), quindi tra cinque e sei interventi, mentre la Fed ne mette in conto tre, al massimo quattro. Il dot plot rafforza l’idea di prudenza: la maggioranza dei membri è allineata su una traiettoria di riduzioni graduali e dipendenti dai dati. Tagli sì, ma con cautela, perché l’inflazione resta un rischio. Non a caso Powell ha definito la mossa un “risk-management cut”: un taglio assicurativo per riequilibrare i rischi tra crescita e lavoro, non l’avvio di una campagna aggressiva. La reazione a caldo lo conferma: dollaro in rialzo, rendimenti in aumento e oro in calo, un tono dovish ma non troppo. Guardando avanti, le proiezioni macro raccontano una crescita 2025 rivista dall’1,4% all’1,6%, pur con consumi in rallentamento ai minimi dal 2020, un’inflazione che scende solo gradualmente (2,4% nel 2026, quindi ancora sopra target) e un tasso di disoccupazione atteso in lieve aumento il prossimo anno, con normalizzazione dal 2026. Powell ha riconosciuto che la creazione di posti è scesa sotto la soglia necessaria a stabilizzare la disoccupazione e che l’impatto dei dazi, finora più contenuto del previsto, rischia di diventare persistente. Il quadro, in sintesi, è di tagli misurati e “meeting by meeting”. Il vero pericolo è una combinazione scomoda: prezzi che non scendono per effetto delle tariffe e occupazione in peggioramento, una sorta di stagflazione “leggera” capace di raffreddare l’azionario e sostenere il dollaro. Spostando lo sguardo al Regno Unito, la Banca d’Inghilterra si trova con margini di manovra ancora più stretti. L’inflazione 2025 è risalita al 3,8%, sospinta soprattutto dall’housing e dai servizi (che valgono circa l’80% del PIL): affitti, costi dei proprietari, manutenzione e bollette pesano sui bilanci familiari, mentre gli aumenti salariali (anche per l’innalzamento del minimo), alimentari e bevande alcoliche (+5,1%) ed energia aggiungono pressione. Ristoranti e hotel hanno beneficiato della stagione turistica, ma non basta a cambiare la sostanza: l’impulso inflazionistico si concentra su voci “inelastiche”, difficili da comprimere. La crescita resta fiacca: nell’ultimo trimestre il PIL è salito di appena lo 0,2%, con i servizi a fare da stampella e la produzione in affanno per rincari energetici e tariffe che erodono competitività e margini. Gli ordini soffrono anche l’effetto “scorte”: molte aziende estere hanno accumulato prodotti prima dei dazi, riducendo poi gli acquisti. La disoccupazione è al 4,7%, il massimo dal 2021, segnale di un mercato del lavoro che si sta raffreddando. Con costi in salita (stipendi da indicizzare, energia, dazi) e produttività debole, le imprese comprimono i margini e rinviano assunzioni, quando non tagliano personale. A complicare il quadro c’è la finanza pubblica: in agosto il deficit mensile ha toccato 18 miliardi di sterline, massimo quinquennale per quel mese, e nei primi cinque mesi dell’anno fiscale il disavanzo è salito a 83,8 miliardi. La spesa per interessi corre: 8,4 miliardi solo ad agosto, 49,9 miliardi nella prima metà dell’esercizio. Con una percezione di rischio più alta, gli investitori chiedono rendimenti maggiori: il Gilt decennale è al 4,71%, il trentennale al 5,55%, vicino ai massimi del secolo. La domanda di titoli resta fragile e una parte dei capitali preferisce rifugiarsi in asset reali come l’oro. Il risultato è una Banca d’Inghilterra tirata da più fronti: da un lato tassi da ridurre per sostenere crescita e occupazione e alleggerire mutui e finanziamenti; dall’altro la necessità di non riaccendere l’inflazione e di rassicurare i mercati sulla sostenibilità dei conti pubblici. Anche qui, dunque, la strada sarà stretta e graduale, con scelte guidate dai dati e una costante attenzione all’equilibrio tra prezzi e lavoro. L’agenda macroeconomica che va dal 22 al 26 settembre 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. Lunedì 22 settembre in Europa si attende l’indicatore sulla fiducia dei consumatori di settembre, mentre dagli Stati Uniti arriverà il Chicago Fed National Activity Index di agosto. Martedì 23 settembre sarà una giornata cruciale per il sentiment, con la pubblicazione dei PMI manifatturiero, servizi e composito di settembre in Francia, Germania, Eurozona e Regno Unito. Negli Stati Uniti usciranno i PMI, le vendite di case esistenti di agosto e l’indice manifatturiero della Fed di Richmond. Mercoledì 24 settembre il focus sarà sulla Germania con gli indici IFO di settembre, importanti per misurare il sentiment delle imprese, mentre dagli USA arriveranno i dati sulle vendite di case nuove di agosto e il consueto aggiornamento sulle scorte e produzione di greggio da parte dell’EIA. Giovedì 25 settembre sarà una giornata ricca di market mover. In mattinata usciranno il rapporto GFK sulla fiducia dei consumatori tedeschi e la fiducia dei consumatori francesi, mentre nel pomeriggio dagli Stati Uniti arriverà un pacchetto di dati macro molto fitto: nuove richieste di sussidi di disoccupazione, PIL del secondo trimestre, indice PCE del secondo trimestre, ordini di beni durevoli e bilancia commerciale di beni. Sempre dagli USA, nel tardo pomeriggio, saranno pubblicati gli indici della Fed di Kansas City. La settimana si concluderà venerdì 26 settembre con i dati giapponesi sull’inflazione di settembre, il PIL del secondo trimestre in Spagna, gli indicatori di fiducia di settembre in Italia e, dagli Stati Uniti, una serie di release di rilievo: deflatore PCE, la metrica d’inflazione preferita dalla Fed, redditi e spese personali di agosto e la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso negativi con poche eccezioni. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,22%, China A50 +0,46%, Hang Seng ha chiuso a -0,29%, il Nikkei -0,40%, l’Australia +0,47%, Taiwan ha chiuso a -0,45%, la Corea del Sud Kospi -0,63%, l’indice Indiano Sensex chiuso -0,50%. Il nostro FTSEMib +0,01%, Dax chiuso -0,15% Ftse100 -0,12%, Cac40 -0,01%, Zurigo +0,50%. Lo S&P500 +0,49%, il Nasdaq chiuso +0,72%, il Russell2000 -0,77%. L’oro ha chiuso a 3.705,80 ollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 62,68$ per il wti e 66,88$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 32,308. Lo spread BTP/BUND 81,830. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 15,45%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,22%, China A50 +0,24%, Hang Seng ha chiuso a -0,76%, il Nikkei +1,25%, l’Australia +0,43%, Taiwan ha chiuso a +1,03%, la Corea del Sud Kospi +0,51%, l’indice Indiano Sensex chiuso -0,14%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva mentre gli Stati Uniti sono deboli. L’oro si attesta a 3.729,30 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 62,85$ per il greggio e 67,15$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 116.906 e l’Ethereum 4.536.
Buona giornata e buona settimana.

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