Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 6 min
(36° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Angelou M.: “Le persone dimenticano cosa hai detto, ma non come le hai fatte sentire”
Questa settimana, almeno per come era iniziata, sembrava destinata a passare in sordina. Siamo a fine agosto, il periodo in cui molti partono per le ferie in ritardo o si concedono gli ultimi giorni al mare e in famiglia, e lo stesso accade anche ai grandi investitori, quelli che con un click muovono miliardi. Spesso l’ultima settimana di agosto è caratterizzata da volumi bassi, pochi movimenti e mercati apparentemente fermi. Ma in economia e finanza, anche quando tutto sembra immobile, ogni dato che arriva racconta una storia precisa. L’economia americana non sta andando così male come molti si aspettavano: lo dimostrano il PIL, che nella nuova lettura è stato rivisto al 3,3%, i numeri sull’inflazione, il mercato del lavoro e gli utili aziendali. Certo, qualche scricchiolio si intravede, soprattutto sull’occupazione, ma rispetto alle previsioni catastrofiche che circolavano nei mesi di febbraio e aprile, la realtà si è rivelata molto più solida. Il passaggio chiave della settimana è stato il discorso di Powell a Jackson Hole. I mercati hanno avuto esattamente quello che speravano: maggiore attenzione al mercato del lavoro e un atteggiamento più morbido sull’inflazione, che tradotto significa politiche monetarie più accomodanti. Powell ha riconosciuto che i rischi legati all’occupazione stanno aumentando e che i consumi, che rappresentano quasi il 70% del PIL, si sono indeboliti come non accadeva da cinque anni. Il messaggio è stato chiaro: la porta ai tagli dei tassi è aperta. Da qui è arrivata la classica reazione da “dovish shock”: S&P e Nasdaq in rialzo, rendimenti in calo, oro in salita, dollaro in discesa e Bitcoin in guadagno. Tuttavia, già dall’apertura del lunedì successivo, l’entusiasmo si è raffreddato. I mercati sono tornati piatti, l’S&P è scivolato ai livelli di metà agosto, il Nasdaq è rimasto bloccato in congestione in attesa di Nvidia, il dollaro ha recuperato leggermente e Bitcoin ha perso il 5%. L’euforia si è trasformata in stallo in poche ore. Il motivo è semplice: Powell sì, ha aperto alla possibilità di tagli, ma ha ribadito che la Fed agirà “dato dopo dato”. Questo ha ridimensionato l’ottimismo degli investitori: se dopo il CPI di luglio i tagli a settembre erano dati per certi al 100%, dopo Powell la probabilità è scesa all’85-90%. Ancora alta, ma segnale che il mercato si è fatto più cauto. In parallelo, gli utili aziendali hanno sorpreso positivamente: l’85% delle società ha battuto le attese, un risultato che non si vede spesso e incompatibile con l’idea di un’economia in recessione. Eppure i mercati restano sospesi, in attesa di un dato cruciale: il PCE. La lettura di luglio ha mostrato un headline in aumento dello 0,2% mensile, con il tasso annuo stabile al 2,6%. Il core, invece, è salito dello 0,3% e ha portato l’annuale al 2,9%, il livello più alto da febbraio. Numeri in linea con le attese, ma che confermano quanto il 2% resti ancora lontano. A trainare sono stati i servizi, la componente più resistente dell’inflazione, con aumenti nei comparti finanziario, assicurativo, sanitario e immobiliare. Sul fronte dei beni, invece, si osserva un ritorno alla crescita dei prezzi dei durevoli, segnale che i dazi stanno iniziando a pesare sui consumatori americani. Vestiti, giocattoli, arredamento e ricambi auto sono le voci più vulnerabili. Nonostante ciò, la spesa personale è cresciuta dello 0,5%, il ritmo più sostenuto degli ultimi quattro mesi, segno che le famiglie, nonostante l’incertezza, continuano a spendere. Il punto è che finora l’impatto dei dazi è stato in parte attenuato. Le aziende hanno fatto leva sulle scorte accumulate prima delle tariffe e, in molti casi, hanno preferito comprimere i margini invece di trasferire subito i rincari. Ma questi cuscinetti non sono eterni e la seconda metà dell’anno sarà decisiva per capire quanto i costi finiranno davvero sugli scontrini. Dal punto di vista della Fed, il PCE di luglio non rappresenta un freno immediato ai tagli, ma conferma che il percorso resta incerto. In parallelo, Nvidia ha pubblicato i suoi risultati. I numeri sono impressionanti: ricavi a 46,7 miliardi di dollari, +56% su base annua, margini lordi al 72,7% ed EPS a 1,05 dollari, con guidance al rialzo a 54 miliardi per il prossimo trimestre. Nvidia si conferma l’azienda simbolo della corsa all’intelligenza artificiale, quella che fornisce i “picconi” della nuova corsa all’oro. Ma i mercati non hanno reagito con entusiasmo, perché nella guidance manca l’effetto sorpresa. Il nodo centrale resta la Cina: dal 2022 le restrizioni sulle GPU avanzate hanno ridotto drasticamente l’export verso Pechino, che valeva fino a un quarto dei ricavi Data Center. Oggi quella quota è scesa al 13%, e nella nuova guidance il mercato cinese è stato del tutto escluso. Intanto la Cina non resta ferma. Colossi come Huawei, SMIC e Alibaba stanno accelerando sul fronte semiconduttori, costruendo un ecosistema che, seppur ancora distante da Nvidia per qualità, potrebbe diventare un’alternativa credibile nel tempo. Il rischio è che le aziende americane perdano terreno in modo permanente in uno dei mercati più strategici. Nonostante un buyback da 60 miliardi annunciato dal management, il mercato ha guardato oltre. Il messaggio finale è chiaro: tra PCE e Nvidia, le borse hanno chiuso la settimana in calo. L’inflazione resta un problema da monitorare, i dazi cominciano a incidere e ogni dato su lavoro e prezzi sarà cruciale per capire il percorso della Fed. Nvidia, invece, rappresenta al tempo stesso la promessa e il rischio: se continuerà a crescere, trascinerà indici e settori, ma se dovesse rallentare, basterebbe una sola trimestrale per incrinare il rally tecnologico costruito sull’intelligenza artificiale. La lezione per gli investitori resta sempre la stessa: non serve prevedere il futuro, serve seguire i dati, lettura dopo lettura, e farsi trovare pronti. L’agenda macroeconomica che va dal 1° al 5 settembre 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. Lunedì 1 settembre sarà una giornata caratterizzata dai PMI manifatturieri, con aggiornamenti da Australia, Giappone, Cina, Spagna, Italia, Germania, area euro e Regno Unito. In Italia e in Europa usciranno inoltre i dati sul tasso di disoccupazione di luglio. Wall Street sarà chiusa per festività. Martedì 2 settembre l’attenzione si sposterà sulla Spagna, con il tasso di disoccupazione di agosto, e sull’Italia, che pubblicherà i prezzi alla produzione di luglio. Per l’Area Euro arriveranno i dati sull’inflazione di agosto, particolarmente rilevanti in vista delle prossime mosse della BCE. Nel pomeriggio focus sugli Stati Uniti, con i dati sul PMI e ISM manifatturiero. La giornata di mercoledì 3 settembre sarà caratterizzata dai PMI servizi e composito di diversi Paesi (Giappone, Cina, Spagna, Italia, Germania, area euro e Regno Unito). In Asia, l’Australia pubblicherà il PIL del secondo trimestre. Per l’Europa è attesa la lettura dei prezzi alla produzione di luglio, mentre negli Stati Uniti usciranno i dati su beni durevoli, ordinativi alle fabbriche e soprattutto le nuove offerte di lavoro JOLTS. Giovedì 4 settembre si aprirà con la bilancia commerciale australiana, seguita in mattinata dalle vendite al dettaglio dell’area euro. Nel pomeriggio gli Stati Uniti catalizzeranno l’attenzione con dati cruciali: il report ADP sull’occupazione di agosto, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, la bilancia commerciale di luglio, i PMI servizi e composito, l’ISM servizi e il consueto aggiornamento sulle scorte di greggio. La settimana si concluderà con una giornata densa di appuntamenti: venerdì 5 settembre dal Giappone arriveranno i dati sui consumi delle famiglie di luglio, mentre in Europa saranno pubblicati le vendite al dettaglio italiane, gli ordini alle fabbriche tedeschi, la bilancia commerciale francese, i dati sulle vendite al dettaglio britanniche e il PIL dell’area euro del secondo trimestre. Ma l’attenzione sarà concentrata sugli Stati Uniti, dove usciranno i dati più attesi del mese: le Non-Farm Payrolls (NFP) di agosto, accompagnate dal tasso di disoccupazione e dai salari medi orari.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,19%, China A50 +1,03%, Hang Seng ha chiuso a +0,50%, il Nikkei -0,33%, l’Australia -0,17%, Taiwan ha chiuso a +0,63%, la Corea del Sud Kospi -0,27%, l’indice Indiano Sensex chiuso +0,16%. Il nostro FTSEMib -0,59%, Dax chiuso -0,57% Ftse100 -0,32%, Cac40 +0,76%, Zurigo -0,26%. Lo S&P500 -0,64%, il Nasdaq -1,15%, il Russell2000 -0,50%. L’oro ha chiuso a 3.530,70 ollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 64,01$ per il wti e 67,48$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 31,622. Lo spread BTP/BUND 89,060. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 15,36%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,23%, China A50 -0,71%, Hang Seng ha chiuso a +1,89%, il Nikkei -1,50%, l’Australia -0,53%, Taiwan ha chiuso a -0,82%, la Corea del Sud Kospi -1,36%, l’indice Indiano Sensex chiuso +0,32%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura sopra la parità mentre gli Stati Uniti sono chiusi per il “Labor Day”. L’oro si attesta a 3.547,50 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 63,77$ per il greggio e 67,22$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 107.661 e l’Ethereum 4.392.
Buona giornata e buona settimana.
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