Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 2 giorni fa
- Tempo di lettura: 7 min
(23° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Luis Sepulveda: “Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue e ha dimostrato senza grandi gesti che è possibile vivere, e vivere in piedi anche nei momenti peggiori”
Il mercato fatica a trovare un equilibrio. I trader reagiscono con prontezza a ogni nuova dichiarazione, salvo poi tornare rapidamente alla calma, come se nulla fosse accaduto. Le emozioni si accendono e si spengono alla stessa velocità con cui scorrono i titoli sui terminali. Nel frattempo, Donald Trump non si ferma. Dopo aver accusato la Cina di aver rotto un accordo commerciale ha annunciato di voler parlare con Xi Jinping, lasciando gli operatori in balia di continui cambi di direzione. Nonostante questa incertezza, maggio si è chiuso con un risultato sorprendente: l’S&P 500 ha guadagnato il 6,2%, registrando il miglior mese di maggio dal 1990. Eppure, tra gli analisti, l’entusiasmo si è già trasformato in prudenza. Storicamente, giugno non è un mese generoso per i mercati: dal 1990, la performance media dell’S\&P è stata dello 0,2%, ben al di sotto dello 0,8% degli altri mesi dell’anno. Un altro fattore di preoccupazione è rappresentato dal fatto che molti gestori hanno già impegnato la maggior parte della loro esposizione azionaria. I portafogli sono carichi, le valutazioni elevate, e l’interesse per le coperture è in calo. In un contesto simile, ci si chiede chi sarà a spingere i prezzi ancora più in alto. Il calendario delle prossime settimane aggiunge ulteriori elementi di tensione. Il 18 giugno la Federal Reserve comunicherà la sua decisione sui tassi. Due giorni dopo si verificherà la tripla scadenza tecnica, con un’enorme mole di opzioni in chiusura. A fine mese è atteso il ribilanciamento dei portafogli, evento che potrebbe intensificare la volatilità. Tutti questi appuntamenti arrivano mentre l’S&P si avvicina alla soglia dei 6.000 punti, un livello psicologico e tecnico che molti osservano con attenzione. Al momento, sono ancora posizionati al rialzo, ma potrebbero invertire direzione con estrema rapidità. Nel frattempo, il dollaro ha registrato un nuovo calo, chiudendo il quinto mese consecutivo in perdita, una serie negativa che non si vedeva dal 2020. Anche i Treasury hanno mostrato debolezza. Il mercato, per ora, regge, ma l’estate è lunga e chi ha seguito il vecchio detto “Sell in May and go away” potrebbe non aver sbagliato del tutto, almeno non nella logica, forse solo nei tempi. Sul fronte commerciale, la Corte del Commercio Internazionale ha bloccato gran parte dei dazi imposti da Trump utilizzando lo strumento dell’emergenza nazionale. L’amministrazione ha avuto dieci giorni di tempo per iniziare a smantellare l’intera impalcatura protezionistica, ma già il giorno successivo una corte d’appello ha concesso una sospensione temporanea del provvedimento, lasciando in piedi i dazi, almeno per ora. Tutto ruota attorno all’International Emergency Economic Powers Act, una legge del 1977 pensata per gestire emergenze vere, non squilibri commerciali. Un deficit nella bilancia dei pagamenti non basta per giustificare uno stato d’emergenza. La battaglia legale potrebbe durare a lungo, ma l’amministrazione non sembra intenzionata a rimanere inattiva. Se l’IEEPA dovesse venire meno, restano altre vie percorribili. La Sezione 232, già usata per l’acciaio e l’alluminio, potrebbe essere estesa a chip, farmaci o materie prime strategiche, anche se richiede tempi lunghi. La Sezione 301, già sfruttata contro la Cina, consente di colpire pratiche commerciali scorrette senza passaggi in Congresso. La Sezione 122 permette dazi fino al 15%, ma solo per 150 giorni, una durata troppo breve per gli obiettivi dell’amministrazione. C’è anche la Sezione 338, mai utilizzata, che autorizza dazi fino al 50% contro chi discrimina le esportazioni americane. Infine, c’è sempre la possibilità di passare per il Congresso, ipotesi che Trump tende a escludere per i tempi lunghi e l’imprevedibilità politica. Se la sentenza dovesse reggere all’appello e venisse pienamente applicata, l’impatto potrebbe estendersi anche sul piano fiscale. L’amministrazione ha fatto affidamento sulle entrate derivanti dalle tariffe per compensare, almeno in parte, un piano di spesa pubblica da 3.800 miliardi oggi in discussione al Congresso. Solo ad aprile, le tariffe hanno generato 16,5 miliardi di dollari, un record, e il dato di maggio è salito oltre i 22 miliardi. La loro eventuale cancellazione solleverebbe inevitabilmente la questione dei rimborsi. Tutto ora dipende dai giudici. La corte d’appello ha fissato il termine del 9 giugno per decidere se mantenere la sospensione o lasciare che la sentenza entri in vigore. In parallelo, le imprese ricalcolano le catene di approvvigionamento, i partner valutano possibili contromisure e i mercati si interrogano sulla forma che potrebbero prendere eventuali nuovi dazi. Nel frattempo, all’Eurotower si prepara un’estate intensa. Il 5 giugno potrebbe arrivare l’ottavo taglio consecutivo del tasso di deposito, che in un anno è stato dimezzato. I membri più restrittivi del Consiglio direttivo sperano in una pausa, ma l’Europa resta sotto pressione: i negoziati con gli Stati Uniti avanzano lentamente, l’economia è debole e l’euro si rafforza, aggravando ulteriormente la competitività delle esportazioni. I segnali sono chiari: le aspettative d’inflazione sono stabili o in calo, i salari crescono con meno vigore e in Francia l’inflazione è scesa allo 0,7%, ai minimi da quattro anni. A Francoforte si cerca il punto d’equilibrio tra crescita e stabilità dei prezzi, ma il tasso neutrale, quello che non stimola né frena, è sempre più difficile da identificare in un contesto che cambia ogni settimana. Nel frattempo, la Germania è diventata il primo creditore mondiale, con crediti per 3.500 miliardi di euro, pari all’81% del PIL, una posizione difficile da sostenere nel momento in cui Washington minaccia dazi del 50%. Secondo Capital Economics, gli effetti di questi dazi sull’industria tedesca si farebbero sentire per anni, costringendo forse la BCE a ulteriori interventi. Ma gli strumenti non sono infiniti. Il credito è già sotto pressione, i prestiti calano, le banche diventano più selettive e il quantitative tightening (riduzione della quantità di denaro in circolazione nell’economia attraverso mancati rinnovi o vendita di titoli) agisce in sottofondo. I margini per ulteriori tagli dei tassi si assottigliano, e a certi livelli si passa più all’arte che alla scienza. Christine Lagarde lo sa bene: non è il momento per dibattiti teorici. Servono risposte concrete, ma in un mondo in continuo mutamento anche le certezze durano poco. In questo scenario, il passaggio simbolico e sostanziale di Coinbase nell’indice S&P 500 ha segnato un ulteriore passo verso l’integrazione della finanza tradizionale con l’universo crypto. Dopo l’arrivo del Bitcoin su Wall Street e l’approvazione degli ETF da parte della SEC, l’ingresso dell’Exchange americano tra le 500 maggiori aziende statunitensi rappresenta un punto di svolta. Coinbase prende il posto di Discover Financial Services, una carta di credito che lascia spazio a un portafoglio digitale. È una svolta emblematica: un indice simbolo della stabilità del capitalismo tradizionale accoglie una realtà spesso vista come l’antitesi dell’ordine finanziario. Chi investe in un ETF sull’S&P 500 oggi possiede una minima quota di criptovalute, o meglio, di un’azienda che ne rappresenta l’infrastruttura. La percentuale è irrisoria, ma il significato è enorme. Coinbase si muove in sintonia sia con Bitcoin sia con l’S&P stesso. I livelli di correlazione sono simili: 0,53 con la criptovaluta, 0,54 con l’indice. I flussi in arrivo dai fondi passivi promettono di aumentare liquidità e stabilità, ma la natura del settore resta immutata. La normalizzazione è apparente. Le autorità di vigilanza mantengono l’azienda sotto osservazione, i rischi informatici sono reali e il potenziale di contagio tra mercati crypto e finanza tradizionale è concreto. L’inclusione di Coinbase è forse solo l’inizio di un processo che potrebbe portare altre realtà crypto a essere accettate nel cuore del sistema finanziario. Un’integrazione graduale e silenziosa, che avanza anche senza che nessuno debba aprirsi un wallet. L’agenda macroeconomica che va dal 2 al 6 giugno 2025 sarà caratterizzata dalla pubblicazione di diversi dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno la riunione di politica monetaria della BCE, la consueta conferenza stampa della presidente Christine Lagarde, e i dati del mercato del lavoro USA, ma non solo. Lunedì si parte con una sfilza di PMI manifatturieri in Europa e Stati Uniti, fondamentali per valutare il sentiment del settore industriale. Da segnalare anche la chiusura dei mercati cinesi per festività. Martedì, l’attenzione si sposta sull’inflazione dell’Eurozona (maggio) e sul tasso di disoccupazione (aprile), oltre ai dati USA dei beni durevoli, ordinativi alle fabbriche e lavori JOLTS (offerte di lavoro). Mercoledì sarà cruciale per i PMI dei servizi e composito in Europa e USA, oltre al report ADP sull’occupazione privata americana e all’ISM dei servizi. Sempre mercoledì, focus anche sulle scorte settimanali di greggio USA. Giovedì 6 giugno riflettori puntati sulla riunione della BCE e sulla successiva conferenza stampa di Christine Lagarde: i mercati si attendono chiarimenti sulla traiettoria futura dei tassi. Importanti anche i dati su prezzi alla produzione europei, bilancia commerciale USA e nuove richieste di sussidi di disoccupazione. La settimana si chiude con un venerdì cruciale: in uscita i dati sul mercato del lavoro USA con i Non-Farm Payrolls, il tasso di disoccupazione e i salari orari medi (tutti riferiti a maggio). In Europa si attendono i dati su PIL, occupazione e vendite al dettaglio dell’Eurozona, oltre alla produzione industriale e bilancia commerciale tedesca e francese.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,31%, China A50 -0,30%, Hang Seng ha chiuso a -1,44%, il Nikkei -1,32%, l’Australia +0,06%, Taiwan chiusa per festività, la Corea del Sud Kospi -1,03%, l’indice Indiano Sensex -0,15%. Il nostro FTSEMib +0,26%, Dax chiuso +0,27% Ftse100 +0,64%, Cac40 -0,36%, Zurigo +0,33%. Lo S&P500 -0,01%, il Nasdaq -0,32%, il Russell2000 -0,41%. L’oro ha chiuso a 3.315,40 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 60,79$ per il wti e 62,78$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 34,228. Lo spread BTP/BUND 99,000. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 18,57%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite chiusa per festività, China A50 chiusa per festività, Hang Seng ha chiuso a -1,78%, il Nikkei -1,33%, l’Australia -0,26%, Taiwan ha chiuso a 1-54%, la Corea del Sud Kospi -0,20%, l’indice Indiano Sensex -0,52%. Al momento in cui scrivo, i mercati europei hanno una previsione di apertura negativa così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 3.341,87 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 62,47$ per il greggio e 64,25$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 104.860 e l’Ethereum 2.495.
Buon 2 giugno e buona settimana.
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