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Pillole di Mercato

(18° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:

George Soros: "Non è importante avere ragione o torto, ma quanti soldi guadagni quando hai ragione e quanti soldi perdi quando hai torto"

 

Wall Street chiude la settimana in positivo. I grandi nomi del mercato azionario spingono l’S&P 500 oltre quota 5.500. Tesla (+9,8%) e Alphabet (+6,8%) trainano l’indice nella serie di guadagni più lunga da gennaio, anche se Donald Trump continua a inviare segnali contrastanti sul fronte commerciale. Le obbligazioni e il dollaro salgono, a conferma di una settimana tutto sommato brillante per i mercati finanziari. La festa rischia però di interrompersi. In molti si domandano se il rally possa davvero reggere di fronte alle continue provocazioni commerciali. Trump ha avvertito che difficilmente ci sarà un altro rinvio sui dazi reciproci con la Cina. Il presidente USA vuole qualcosa di "concreto e sostanzioso" prima di allentare la presa. Dietro l'apparente ripresa del mercato, si nasconde un deterioramento profondo della fiducia, del potere d'acquisto e delle prospettive di crescita. L'ottimismo dei consumatori tocca livelli tra i più bassi mai registrati. La paura delle tariffe fa schizzare le aspettative d'inflazione ai massimi dal 1991. Anche i grandi gruppi aziendali lanciano l'allarme. Procter & Gamble stima che i dazi proposti potrebbero far lievitare i suoi costi annuali di 1-1,5 miliardi di dollari. Il gigante dei beni di consumo prevede di scaricare parte dei rincari sui clienti aumentando i prezzi. Le aziende americane per ora reggono il colpo grazie a margini di profitto record, ma c'è una vulnerabilità nascosta. Negli ultimi vent'anni, infatti, quasi tutta la crescita degli utili delle società dell'S&P 500 è arrivata esclusivamente dal settore tecnologico. Senza questo comparto, il quadro sarebbe tutt'altro che brillante. Nel frattempo, secondo gli analisti di Bank of America guidati da Michael Hartnett, le condizioni ideali per una crescita sostenibile delle azioni e del dollaro sono ancora lontane. Il biglietto verde rischia una lunga fase di debolezza, con gli investitori stranieri che continuano a vendere titoli USA. Goldman Sachs stima che da marzo gli investitori esteri abbiano venduto ben 63 miliardi di dollari di azioni americane, con gli europei in prima fila nelle vendite. Quanto alla crescita, gli economisti interpellati da Bloomberg restano poco ottimisti. Si aspettano un’espansione economica di appena l’1,4% per quest’anno e dell’1,5% nel 2026. Le probabilità di recessione nel prossimo anno salgono al 45%, rispetto al 30% di marzo. Comprare mentre tutto scende può sembrare furbo. Chiedilo a chi ha comprato durante il crollo delle dot-com: per rivedere i propri soldi ha dovuto aspettare sette lunghi anni. C’è chi giura che sia il momento migliore per arricchirsi dai tempi della pandemia. Gli investitori amatoriali hanno già versato 30 miliardi di dollari sul mercato dall’inizio di aprile. Tesla, Nvidia, Apple, Alphabet… marchi stellari oggi "in saldo". È il fascino del “buy the dip”, ma ci sono dettagli che molti preferiscono ignorare. Per comprare nel mezzo della bufera servono sangue freddo, esperienza e soprattutto tempo. Oggi la volatilità è alle stelle. Trump minaccia dazi, Wall Street reagisce con isteria. Discese a picco sono seguite da rimbalzi euforici. Puoi comprare azioni il lunedì e pentirtene già mercoledì (o il contrario). Eppure, il mito del “comprare la discesa” affascina sempre più investitori retail. Alcuni lo vedono come una seconda chance dopo aver perso l’occasione d’oro del 2020. Intanto, le grandi istituzioni restano caute. Sanno bene che la storia della finanza insegna prudenza. Per ogni risparmiatore che riesce a beccare il minimo, molti altri restano con il cerino in mano, aspettando per anni di rientrare dell’investimento. I movimenti estremi sono frequenti nei 50 giorni successivi a una correzione del 10%. Alla fine, puntare durante il ribasso è una mossa audace, ma pericolosa. Forse non è questione di avere ragione o torto, ma di resistere o crollare sotto il peso dell’incertezza. Perché in questa corsa al "buy the dip", molti dimenticano che Wall Street non perdona chi si muove troppo presto o chi non ha abbastanza pazienza. La febbre dell'oro è ormai ufficiale. Gli investitori si riversano sul metallo prezioso in fuga dalla tempesta perfetta scatenata da dazi reciproci e tensioni commerciali mai viste prima. Ma perché proprio l’oro? Semplice: dollaro e titoli di Stato USA, da sempre considerati rifugi sicuri, stanno traballando. L’oro, invece, ha sfondato quota 3.500 dollari l’oncia e le previsioni più audaci parlano di un balzo oltre i 4.000 nei prossimi mesi. La cosa davvero interessante è che stavolta nemmeno i Treasury convincono più. La classica relazione inversa tra oro e rendimenti è saltata per aria. L’oro protegge dalla perdita di potere d’acquisto e non è nemmeno esposto ai capricci della politica o ai rischi del debito pubblico. Mentre tutto intorno sembra crollare, il metallo prezioso rimane ancora lì, brillante e affidabile come sempre. I future sul Comex mostrano un aumento esplosivo delle posizioni long da parte degli investitori istituzionali. Non è solo una questione economica. La fiducia verso l’America sta vacillando. Molti analisti parlano apertamente di una crisi del cosiddetto "eccezionalismo americano". Alcune banche centrali emergenti stanno accumulando oro per proteggersi da eventuali sanzioni o congelamenti di riserve. Nessuno vuole più dipendere troppo dal dollaro e l’oro torna così di moda anche come riserva monetaria. Intanto, in Cina la situazione è esplosiva. Milioni di piccoli investitori, influenzati da messaggi sui social, si lanciano a comprare oro con i risparmi di una vita, a volte perfino indebitandosi. In pochi giorni la borsa di Shanghai ha registrato volumi mai visti prima e le autorità sono state costrette a intervenire per calmare la situazione. La corsa è talmente folle che le banche cinesi hanno esaurito i lingotti disponibili. Ogni febbre ha il suo picco. Quando l’euforia lascia spazio alla realtà, basta una scintilla per far saltare tutto. Ogni crisi finanziaria nasce da una grande illusione. Mutui subprime, i fondi di Bernie Madoff, il debito greco: tutti asset che sembravano intoccabili, fino al giorno in cui non lo sono stati più. Ora è il turno dei titoli di Stato USA, da sempre venerati come porto sicuro durante le tempeste finanziarie. La realtà è che i Treasury non sono mai stati davvero privi di rischio. Nemmeno quando venivano trattati come il "bene rifugio" per eccellenza. L'illusione nasceva da definizioni troppo semplicistiche, normative troppo permissive e una fede cieca nel potere della Federal Reserve. Un mix pericoloso che ha fatto dimenticare agli investitori la verità: nessun investimento è davvero immune alle tempeste. Negli ultimi tempi i leggendari Treasury americani hanno iniziato a tremare. I mercati obbligazionari stanno attraversando un periodo di forte volatilità. La causa scatenante delle ultime turbolenze è chiara. Trump vuole ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti e questo significa meno capitali esteri pronti ad acquistare debito americano. L'era della globalizzazione sfrenata, in cui gli USA erano il rifugio sicuro per antonomasia, sta tramontando. Ma la fragilità dei Treasury ha radici profonde. Da anni i prezzi scendono in risposta a un'inflazione crescente e all'incapacità politica di affrontare un debito pubblico ormai fuori controllo. Il pericolo di una guerra commerciale globale ha semplicemente accelerato un cambiamento già in atto. E se è vero che il ruolo degli USA come emittente di debito sicuro si sta ridimensionando, non significa necessariamente che gli investitori debbano scappare. Piuttosto, dovranno imparare a diversificare. I Treasury USA non erano privi di rischio ieri, non lo sono oggi e non lo saranno domani. È arrivato il momento che i mercati lo capiscano definitivamente, per evitare che il prossimo risveglio da questa illusione sia ancora più doloroso. L’agenda macroeconomica che va dal 28 aprile al 2 maggio 2025 sarà caratterizzata da una carrellata di dati macroeconomici importanti riguardanti le principali economie del Vecchio Continente e gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno i dati del mercato del lavoro (salari orari medi, Non Farm Payrolls, tasso di disoccupazione) e l’inflazione degli Stati Uniti misurata dal deflatore PCE e molto altro ancora. Per gli USA verranno rilasciati anche i dati della bilancia commerciale, l’indice prezzi delle case, la fiducia dei consumatori del Conference Board, i nuovi lavori JOLTS, l’occupazione ADP, il PIL del primo trimestre, il reddito e le spese personali, il PMI Chicago, le vendite di abitazioni in corso, i dati settimanali dell’EIA sulle scorte di greggio, l’ISM manifatturiero, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione e gli ordinativi alle fabbriche. Per l’Eurozona saranno diffusi alcuni indicatori di fiducia e i dati dell’inflazione, il tasso di disoccupazione e il PIL del primo trimestre. In aggiunta, usciranno anche i PMI manifatturieri di aprile per l’area euro e i principali Paesi membri. Per quanto riguarda i singoli Paesi del blocco europeo, per la Germania gli operatori monitoreranno il clima dei consumatori GfK, vendite al dettaglio, tasso di disoccupazione, PIL del primo trimestre e l’inflazione. In Italia attenzione agli indicatori di fiducia, vendite industriali, PIL, inflazione, prezzi alla produzione, tasso di disoccupazione e bilancia commerciale. In Spagna saranno pubblicati il tasso di disoccupazione, le vendite al dettaglio, il PIL e l’inflazione. In Francia, riflettori puntati su PIL e inflazione. Per quanto riguarda il Regno Unito, si attendono l’indice Nationwide sui prezzi delle case e i PMI. Passando al continente asiatico, dal Giappone in uscita la produzione industriale, le vendite al dettaglio e il tasso di disoccupazione. Inoltre, si terrà la riunione di politica monetaria della BoJ. Per la Cina, focus sui PMI ufficiali e Caixin.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso positivi ad esclusione della Cina Continentale. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,07%, China A50 -0,45%, Hang Seng ha chiuso a +0,32%, il Nikkei chiuso +0,70%, l’Australia +0,60%, Taiwan +2,02%, la Corea del Sud Kospi +0,95%, l’indice Indiano Sensex -0,74%. Il nostro FTSEMib +1,47%, Dax chiuso +0,81% Ftse100 +0,09%, Cac40 +0,45%, Zurigo +0,21%. Lo S&P500 +0,62%, il Nasdaq +1,11%, il Russell2000 +0,00%. L’oro ha chiuso a 3.298,40 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 63,02$ per il wti e 66,87$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 32,432. Lo spread BTP/BUND 111,200. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 24,84%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,03%, China A50 +0,12%, Hang Seng ha chiuso a +0,21%, il Nikkei chiuso +0,47%, l’Australia +0,75%, Taiwan +0,68%, la Corea del Sud Kospi +0,14%, l’indice Indiano Sensex +0,90%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura debole mentre  gli Stati Uniti sono negativi. L’oro si attesta a 3.302,77 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 63,34$ per il greggio e 66,06$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 94.088 e l’Ethereum 1.789.

 

Buona giornata e buona settimana.




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