top of page

Pillole di Mercato

(14° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:

Cesare Pavese: "Tu sarai amato il giorno in cui potrai mostrare la tua debolezza senza che l’altro se ne serva per affermare la sua forza"

 

Ultimi fuochi per un trimestre da dimenticare a Wall Street. Con una sola seduta rimasta prima della chiusura del primo trimestre, l’S&P 500 si avvia a registrare la sua peggior performance dal 2022, con un calo vicino al 5%. Le azioni affondano, i rendimenti dei Treasury scendono e l’oro vola ai massimi storici. In un contesto di crescente incertezza, chi ha puntato tutto su pochi grandi nomi sta pagando il prezzo più alto. Le cattive notizie arrivano da ogni angolo. Il sentiment dei consumatori americani è scivolato a picco, mentre le aspettative di inflazione sono schizzate ai massimi da 32 anni. Due campanelli d’allarme che dipingono il ritratto di un’America sempre più sfiduciata, dove i prezzi tornano a far paura e le famiglie iniziano a tagliare le spese. Proprio mentre l’amministrazione Trump si prepara a lanciare un nuovo pacchetto di dazi, i dati mostrano una frenata dei consumi e un’accelerazione dei prezzi. E intanto, sui mercati, prende corpo un nuovo scenario: quello in cui l’inflazione resta alta anche mentre l’economia rallenta. Non è ancora stagflazione, ma l’ombra è lì, ben visibile. I flussi di capitale riflettono questa inquietudine. I fondi azionari americani hanno registrato la maggiore uscita settimanale dell’anno, mentre le azioni europee hanno continuato ad attrarre investitori, secondo i dati di EPFR Global. Il clima è quello delle grandi occasioni mancate. Il Nasdaq ha perso il 2,6% solo nell’ultima settimana. In tutto il mese di marzo, l’indice ha registrato ben cinque cali mensili sopra il 2%, una sequenza che non si vedeva dai tempi del “bear market” del 2022. Ma il colpo più duro lo stanno subendo i colossi tecnologici. I “Magnifici Sette”, ovvero le big tech su cui tanti avevano scommesso a occhi chiusi, si avviano a chiudere il peggior primo trimestre da almeno dieci anni. Nel frattempo, il VIX, l’indice della paura di Wall Street, è tornato sopra quota 21. Il dollaro ha perso leggermente terreno, Bitcoin si muove in sordina e l’unico asset a brillare davvero è l’oro, rifugio per eccellenza nei momenti di incertezza. Ed è qui che entra in gioco il grande ritorno della diversificazione. Mentre i portafogli concentrati arrancano, le strategie multi-asset stanno rinascendo. L’indice S&P Multi-Asset Risk Parity, che replica questo approccio distribuito su più asset, ha sovraperformato l’S&P 500 di oltre 7 punti percentuali nel trimestre. Non succedeva dal 2018. Quando l’agenda politica cambia ogni settimana e i dati macroeconomici iniziano a scricchiolare, puntare tutto sull’America First non è solo rischioso. È autodistruttivo. Lo hanno imparato a proprie spese tanti investitori, dai trader retail ai gestori troppo esposti ai nomi da copertina. E così, quello che sembrava un “Trump trade” vincente si è trasformato in una trappola per investitori. Per ora, l’ipotesi stagflazione non è lo scenario base. Ma se dovesse materializzarsi, potrebbe dare un altro colpo al già fragile morale degli investitori. Sta succedendo qualcosa di grosso nel mercato delle materie prime. Un metallo un po’ sottovalutato, ma essenziale per tutto, ha ricominciato improvvisamente a far parlare di sé. Le quotazioni del rame a New York sono letteralmente esplose, staccando di brutto i prezzi globali. Gli Stati Uniti stanno cercando in tutti i modi di fare scorte prima che scattino i nuovi dazi. E nel frattempo, il resto del mondo rischia di restare a bocca asciutta. Al Comex, la borsa delle materie prime di New York, il rame viaggia sopra i $5,22 a libbra, il massimo di sempre. Il benchmark internazionale, quello quotato al London Metal Exchange, arranca dietro. Il divario tra i due prezzi è il più ampio mai registrato. Chi riesce a comprare rame dove costa meno e a spedirlo negli USA sta facendo affari d’oro. L’arbitraggio perfetto. Tutto è partito da una mossa (neanche troppo a sorpresa) di Donald Trump, che il mese scorso ha ordinato un’indagine per valutare dazi del 25% sulle importazioni di rame, con la solita motivazione della sicurezza nazionale. I trader hanno iniziato a riversare negli USA tonnellate e tonnellate di rame da ogni angolo del globo. Il punto è che gli Stati Uniti consumano il doppio del rame che riescono a produrre. Quindi, dazi o no, devono continuare a importare. Solo che ora lo stanno facendo in massa, in anticipo, per evitare l’eventuale stangata del 25%. Produttori e commercianti stanno dirottando carichi destinati all’Asia verso gli Stati Uniti, dove i prezzi sono molto più ghiotti, e i magazzini statunitensi si stanno riempiendo come non mai. Tutto ciò, però, sta sbilanciando il mercato globale. La Cina, che normalmente compra il 40% del rame raffinato mondiale, ora si trova tagliata fuori. I produttori cileni, come la statale Codelco, stanno ricevendo pressioni da tutti i clienti, ma ovviamente danno precedenza a chi, in questo momento, paga di più (gli americani). Se sei un produttore americano, oggi stai già pagando un prezzo che sconta i futuri dazi. Invece, se sei un produttore asiatico, stai iniziando a vedere sparire il rame che fino a ieri ricevevi puntualmente. Secondo Goldman Sachs e Citigroup, i dazi arriveranno davvero. La conseguenza sarà una catena di effetti: meno raffinazione in Cina, più volatilità nei prezzi globali e, soprattutto, più instabilità nelle filiere industriali, proprio in un momento in cui il rame è fondamentale per la transizione energetica. Secondo le ultime stime, le spedizioni di rame verso la Cina nei prossimi due mesi potrebbero calare di un terzo. Il rame è ovunque: nei cavi, nei motori, nei circuiti. Senza rame, niente energia, niente connessioni. Siamo nel pieno di una corsa globale al rame. E quando tutti corrono nella stessa direzione, chi resta indietro rischia di restare... scollegato. Con un colpo solo Trump ha piazzato un dazio del 25% su tutte le auto importate negli Stati Uniti e a breve toccherà anche ai componenti. Spingere le aziende a produrre sul suolo americano è l’obiettivo principale, ma il risultato è un gigantesco scossone per l'intera industria dell'auto, che ormai si muove su catene globali di fornitura. Le azioni di Toyota, Mercedes, Stellantis e Porsche sono crollate. Anche i titoli americani General Motors e Ford non sono usciti indenni. Tesla, invece, ha guadagnato qualche punto, forte della sua produzione 100% made in USA. Tesla è la più “resistente” ai dazi: i suoi veicoli sono interamente assemblati negli USA e solo l’1,8% dei componenti è importato. Al contrario, marchi come Hyundai, Toyota e GM potrebbero dover aumentare i prezzi fino al 10% per compensare l’impatto. Gli analisti di JPMorgan hanno fatto due conti. Se prima stimavano un impatto da 41 miliardi l'anno in caso di dazi limitati a Canada e Messico, ora che le tariffe valgono per tutti, la previsione è raddoppiata. E se le aziende decidessero di scaricare il costo sui clienti finali, il prezzo di un'auto nuova potrebbe salire in media del 12%. General Motors importa il 40% dei suoi veicoli da Canada, Messico e Corea del Sud. JPMorgan stima che il conto finale per l'azienda sarà di 13 miliardi. Ford se la cava meglio: produce poco all'estero e non ha legami diretti con la Corea, ma dovrà comunque sborsare circa 4,5 miliardi. Chi rischia di più, però, sono i marchi stranieri. Ferrari produce tutte le sue auto in Italia, ma vende il 40% delle unità proprio negli USA, dove tra l'altro realizza i margini più alti. Per lei e altri marchi europei, i costi potrebbero impennarsi a meno che non spostino parte della produzione in America. Hyundai, per esempio, ha già annunciato un'espansione negli Stati Uniti. Le auto importate negli USA arrivano soprattutto da Messico, Giappone, Corea del Sud e Canada. I produttori di auto elettriche al momento sembrano i meno colpiti. Tesla, Rivian e Lucid assemblano tutti i modelli destinati al mercato americano direttamente negli USA. Elon Musk, però, ha fatto notare che molti componenti arrivano comunque da Messico e Canada. "L'impatto sui costi non è irrilevante", ha scritto su X. I fornitori, intanto, si trovano in una posizione incerta. I dazi colpiranno anche componenti specifici (motori, trasmissioni, sistemi elettrici), ma l'elenco dettagliato è ancora nebuloso. JPMorgan dice che potrebbero cavarsela meglio dei costruttori, ma sono comunque esposti. E anche se riuscissero a trasferire i costi ai produttori, si ritroverebbero con meno ordini, vista la domanda in calo. Tra chi rischia di più secondo gli analisti ci sono Aptiv e Lear, mentre Gentex appare meglio posizionata. Ironia della sorte, per abbassare i costi alcuni fornitori potrebbero decidere di spostare la produzione fuori dagli Stati Uniti. Esattamente il contrario di quello che Trump si augura. Il 2 aprile il presidente ha promesso una seconda ondata di dazi, stavolta "reciproci": ogni Paese verrà colpito in base alle barriere che impone ai prodotti americani. Lui lo chiama "Liberation Day". Ma per molti, è una “liberazione” che assomiglia più a un "cappio commerciale". In un'economia globale iperconnessa, è difficile che una mossa del genere resti senza conseguenze. Mentre Trump minaccia nuovi dazi e le Borse scendono, c’è un asset che non ha dubbi su dove andare: l’oro. Il metallo giallo ha appena toccato l’ennesimo massimo storico, il diciottesimo da inizio anno. L’oro è da sempre considerato l’assicurazione contro il caos. E oggi le polizze vanno a ruba. Si può comprare in molti modi. C’è chi punta sul mercato spot, dove grandi banche e investitori istituzionali si scambiano lingotti in tempo reale. Chi preferisce scommettere sul futuro può invece farlo tramite i contratti futures, negoziati soprattutto a New York (COMEX), ma anche a Shanghai e Tokyo. Poi ci sono gli ETF, strumenti finanziari che replicano l’andamento del prezzo dell’oro senza bisogno di avere lingotti sotto il materasso. E per chi vuole sentire davvero il peso dell’investimento, ci sono sempre lingotti e monete, acquistabili da rivenditori fisici o online. La domanda oggi è talmente alta che anche gli strumenti finanziari legati al metallo prezioso stanno registrando un boom. Gli ETF garantiti da oro fisico hanno visto un afflusso netto di oltre 12 miliardi di dollari negli ultimi mesi, il più grande dal 2020. Gli investitori scommettono anche su chi l’oro lo estrae: a marzo 2025, con dati aggiornati al 21 del mese, i fondi che investono nelle società minerarie aurifere hanno registrato il maggiore afflusso mensile da oltre un anno. A influenzare il prezzo dell’oro ci sono anche i tassi d’interesse, l’andamento del dollaro e il sentiment degli investitori. Quando i tassi sono bassi, l’oro diventa più interessante perché non perde terreno rispetto agli asset che generano rendimento. E se il dollaro si indebolisce, il metallo diventa ancora più appetibile per chi lo compra con altre valute. C’è anche una dinamica più psicologica: l’oro fa gola a tutti quando c’è panico da incertezza globale. In questo momento, tra dazi, minacce reciproche e dati macro ballerini, i mercati sentono chiaramente odore di tempesta. E chi ha scelto l’oro per proteggersi, oggi può dirsi soddisfatto! L’agenda macroeconomica che va dal 31 marzo al 4 aprile 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno i dati del mercato del lavoro statunitense (Non Farm Payrolls, tasso di disoccupazione e salari medi orari), i dati dell’inflazione dell’Eurozona e le letture degli indici PMI e ISM relativi a marzo, ma non solo. Nel caso della prima economia, gli operatori monitoreranno anche le letture del PMI di Chicago, l’indice manifatturiero della Fed di Dallas, i nuovi lavori JOLTS, l’occupazione ADP, i beni durevoli, gli ordini alle fabbriche, i dati dell’EIA sulle scorte e la produzione di greggio, la bilancia commerciale e le nuove richieste di sussidi di disoccupazione. Per l’Eurozona si attendono anche le misurazioni del tasso di disoccupazione e dei prezzi alla produzione. Per quanto riguarda i singoli Paesi, per la Germania verranno rilasciati i dati delle vendite al dettaglio, dell’inflazione e degli ordini alle fabbriche. Per l’Italia gli investitori monitoreranno anche l’inflazione e le vendite al dettaglio. Guardando al Regno Unito, per l’economia inglese si attendono gli indici dei prezzi delle case di Nationwide e Halifax. In Australia riflettori puntati sulla decisione sui tassi di interesse da parte della RBA.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,55%, China A50 -0,33%, Hang Seng -0,57%, il Nikkei chiuso -1,98%, l’Australia +0,16%, Taiwan -1,59%, la Corea del Sud Kospi -1,89%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,09%. Il nostro FTSEMib -0,92%, Dax chiuso -0,96%, Ftse100 -0,08%, Cac40 -0,93%, Zurigo -0,08%. Lo S&P500 -1,97%, il Nasdaq -2,70%, il Russell2000 -2,11%. L’oro ha chiuso a 3.126,80 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 69,36$ per il wti e 72,76$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 40,587. Lo spread BTP/BUND 112,100. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 21,65%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,62%, China A50 -0,56%, Hang Seng -1,21%, il Nikkei chiuso -3,81%, l’Australia -1,54%, Taiwan -3,56%, la Corea del Sud Kospi -2,85%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,25%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura negativa così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 3.141,55 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 69,07$ per il greggio e 72,50$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 82.126 e l’Ethereum 1.810.

 

Buona giornata e buona settimana.




Comentarios


Mi trovi anche su:
  • Facebook
Tutti i diritti riservati © 2023 Federico Caligiuri
Email: segreteriacaligiuri@gmail.com  P.IVA - 02053160590

Il contenuto di questo sito è solo a scopo informativo, non devi interpretare tali informazioni o altro materiale come consigli legali, fiscali, di investimento, finanziari o di altro tipo. Nulla di quanto contenuto nel nostro sito costituisce una sollecitazione, una raccomandazione, un'approvazione o un'offerta da parte di Federico Caligiuri per acquistare o vendere titoli o altri strumenti finanziari in questa o in qualsiasi altra giurisdizione in cui tale sollecitazione o offerta sarebbe illegale ai sensi delle leggi sui titoli di tale giurisdizione. Tutti i contenuti di questo sito sono informazioni di natura generale e non riguardano le circostanze di un particolare individuo o entità. Nulla di quanto contenuto nel sito costituisce una consulenza professionale e/o finanziaria, né alcuna informazione sul sito costituisce una dichiarazione esaustiva o completa delle questioni discusse o della legge ad esse relativa. Federico Caligiuri non è un fiduciario in virtù dell'uso o dell'accesso al Sito o al Contenuto da parte di qualsiasi persona. Solo tu ti assumi la responsabilità di valutare i meriti e i rischi associati all'uso di qualsiasi informazione o altro Contenuto del Sito prima di prendere qualsiasi decisione basata su tali informazioni o altri Contenuti. In cambio dell'utilizzo del Sito, accetti di non ritenere Federico Caligiuri, i suoi affiliati o qualsiasi terzo fornitore di servizi responsabile di eventuali richieste di risarcimento danni derivanti da qualsiasi decisione presa sulla base di informazioni o altri Contenuti messi a tua disposizione attraverso il Sito.

RISCHI DI INVESTIMENTO

Ci sono rischi associati all'investimento in titoli. Investire in azioni, obbligazioni, exchange traded funds, fondi comuni e ogni altro strumento finanziario comporta il rischio di perdita.  La perdita del capitale è possibile. Alcuni investimenti ad alto rischio possono utilizzare la leva finanziaria, che accentuerà i guadagni e le perdite. Gli investimenti esteri comportano rischi speciali, tra cui una maggiore volatilità e rischi politici, economici e valutari e differenze nei metodi contabili.  La performance passata di un titolo o di un'azienda non è una garanzia o una previsione della performance futura dell'investimento. La totalità dei contenuti presenti nel sito internet è tutelata dal diritto d’autore. Senza previo consenso scritto da parte nostra non è pertanto consentito riprodurre (anche parzialmente), trasmettere (né per via elettronica né in altro modo), modificare, stabilire link o utilizzare il sito internet per qualsivoglia finalità pubblica o commerciale. Qualsiasi controversia riguardante l’utilizzo del sito internet è soggetta al diritto italiano, che disciplina in maniera esclusiva l’interpretazione, l’applicazione e gli effetti di tutte le condizioni sopra elencate. Il foro di Roma è esclusivamente competente in merito a qualsiasi disputa o contestazione che dovesse sorgere in merito al presente sito internet e al suo utilizzo. Accedendo e continuando nella lettura dei contenuti di questo sito Web dichiari di aver letto, compreso e accettato le sopracitate informazioni legali.

bottom of page