Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 21 mar
- Tempo di lettura: 7 min
(13° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Aristotele: "Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero"
21 miliardi di azioni scambiate in una sola giornata, il record assoluto del 2025. È stata questa la chiusura perfetta di una settimana intensa a Wall Street. Gli indici azionari americani sono riusciti a recuperare un po’ di terreno, spinti da alcuni nomi della tecnologia. Negli ultimi tempi, la paura di un rallentamento economico, l’incertezza legata ai dazi e i dubbi sulle valutazioni esagerate di alcune big tech hanno bruciato migliaia di miliardi di dollari dal valore delle azioni USA. E, secondo diversi analisti, l’instabilità potrebbe durare ancora un bel po’. In questo clima nervoso, chi aveva puntato su un portafoglio ben diversificato sta finalmente vedendo i frutti della sua strategia. Asset rimasti per anni ai margini, come l’oro, i titoli di Stato americani e il debito societario - sono tornati in voga, e in molti casi stanno battendo l’S&P 500. Non è detto che questo trend duri per sempre. In passato è già successo che asset alternativi sovraperformassero per qualche mese, per poi lasciare di nuovo spazio alle azioni americane. Ma oggi qualcosa è cambiato: le famiglie statunitensi sono esposte in modo massiccio al mercato azionario e hanno bisogno di forme alternative di investimento. La riscoperta della diversificazione si riflette anche in un classico della finanza personale, il portafoglio 60/40 (60% azioni, 40% obbligazioni), che quest’anno sta andando meglio dell’S&P 500. L’oro ha toccato nuovi massimi, trascinando con sé l’intero comparto delle materie prime. Anche se molti piccoli investitori continuano a vedere nelle discese dei titoli tech delle occasioni d’acquisto, per gli esperti è il momento di prendere seriamente in considerazione la diversificazione come una strategia vincente. Negli ultimi due anni hai sentito parlare solo dei Magnifici Sette, quelle super aziende tech come Meta, Apple, Microsoft, Nvidia, Alphabet, Amazon e Tesla, che sembravano invincibili. Come abbiamo visto, nel 2025 le cose stanno andando molto diversamente. L'ultima azienda a finire in rosso è stata Meta, ma tutte quante stanno soffrendo perdite che vanno dall'8% al 42%. I Magnifici Sette sono entrati ufficialmente in "correzione tecnica" a febbraio e da allora non hanno più recuperato. Ma cosa è andato storto? Il problema è l'incertezza economica: Trump è tornato con la sua politica dei dazi, che sta stressando parecchio gli investitori e rischia di alzare i costi per molte aziende americane. Poi è arrivata DeepSeek, un'intelligenza artificiale cinese open-source talmente potente da mettere in crisi persino Nvidia, fino a ieri regina assoluta dell'IA. Proprio Nvidia sta vivendo il suo peggior trimestre dal 2022 (-12%). Nonostante gli analisti continuino a considerarla innovativa e forte, il mega-hype creato intorno all'IA ha fatto scivolare il titolo proprio quando sembrava inarrestabile. In generale, l'intero mercato ha ridimensionato l'appetito per il rischio. Gli investitori preferiscono ora puntare su asset più sicuri come obbligazioni e titoli difensivi, lasciando sempre meno spazio alle aziende tech che fino a ieri trainavano il mercato. I gestori di fondi si stanno spostando verso asset difensivi e titoli più economici come quelli europei. Molti analisti non hanno perso fiducia e credono che questo sia solo un rallentamento temporaneo. Secondo un recente sondaggio di Bank of America tra i gestori di fondi, comunque, il trade sui Magnifici Sette resta ancora quello preferito (e più affollato) dagli investitori di Wall Street. Tirando le somme, i Magnificent Seven non sembrano più tanto "magnifici". Se sia solo una parentesi negativa o la fine del loro momento di gloria, lo scopriremo molto presto. Tema Banca Centrale. Nessuno ha la sfera di cristallo. Nemmeno la Fed! Jerome Powell non ha fatto finta di sapere cosa succederà con le tariffe introdotte dall’amministrazione Trump e nemmeno quali effetti avranno sull’economia americana e sull'inflazione. Questa settimana la Fed ha lasciato invariati i tassi, proprio come previsto. La vera sorpresa è stata una piccola modifica alla politica di riduzione del bilancio (il famoso quantitative tightening, o QT), cioè quando la banca centrale vende obbligazioni per togliere un po' di liquidità dai mercati. Powell l'ha chiamato un semplice aggiustamento tecnico, ma nei fatti sembra un passo verso una politica monetaria più morbida. Il comunicato ufficiale ha aggiunto una frase semplice ma significativa: "L’incertezza sull’andamento economico è aumentata". Che tradotto vuol dire: "Ragazzi, non sappiamo esattamente cosa aspettarci". E in effetti i grafici delle previsioni economiche della Fed lo dimostrano. I membri del FOMC mostrano stime più disperse su crescita del PIL, disoccupazione e inflazione. Stranamente, però, i mercati hanno reagito bene: azioni in salita e rendimenti obbligazionari in discesa. Perché? Perché Powell ha suggerito chiaramente che, anche se le tariffe faranno aumentare l’inflazione, probabilmente la Fed eviterà di reagire subito aumentando i tassi. Il presidente della Fed ha persino usato la parola magica "transitorio", ricordando come già nel 2018 i dazi di Trump sulle lavatrici fecero impennare i prezzi, ma l'aumento si rivelò solo temporaneo. Morale? Alla Fed non sembra spaventare qualche mese di inflazione più alta del previsto. Qui però arriva il paradosso: il cosiddetto dot-plot della Fed (un grafico che mostra le previsioni dei vari membri sui futuri tassi di interesse) è cambiato rispetto a dicembre. È vero, la maggioranza vede ancora due tagli dei tassi entro fine anno, ma sono aumentati significativamente quelli che ora pensano sia sufficiente un solo taglio o addirittura nessuno. A guardare oltre il 2025, il copione non cambia molto: altri due tagli previsti per il 2026, con tassi che dovrebbero scendere fino a circa il 3,25-3,5%. Però, ancora una volta, non c'è grande convinzione: qualcuno vede i tassi addirittura sotto il 3%, mentre una buona fetta dei membri pensa che resteranno sopra questa soglia anche nel lungo termine. Insomma, Powell e la sua squadra hanno scelto di giocare volutamente nell'ambiguità, per poter cambiare strategia rapidamente se le cose dovessero complicarsi. Tutte le porte restano aperte: in tempi così confusi, forse è l'unica strategia davvero sensata. In Giappone il governatore della Bank of Japan, Kazuo Ueda, sta facendo decollare lentamente il Paese dalla lunga era dei tassi negativi. Un’operazione delicata, con qualche scossone inevitabile ma, finora, nessun incidente serio. Questa settimana anche la BOJ ha lasciato i tassi fermi. Ma con i salari che iniziano finalmente a crescere e i prezzi dei beni alimentari sempre più alti, il prossimo rialzo sembra solo questione di tempo. I mercati, infatti, si stanno già preparando: si aspettano un ritmo di aumenti più veloce rispetto a quanto immaginato a inizio anno. I rendimenti dei titoli di Stato giapponesi a 10 anni sono volati ai livelli più alti degli ultimi 16 anni, segnale chiaro che gli investitori annusano aria di stretta monetaria. Come Powell negli Stati Uniti, anche Ueda deve fare i conti con l’imprevedibilità di Trump e delle sue possibili tariffe commerciali. A questo si sommano una crisi politica interna e una ripresa economica che stenta a prendere quota: la crescita del PIL dell’ultimo trimestre è stata rivista al ribasso, da un 2,8% a un più modesto 2,2%. I consumi restano fiacchi e i prezzi aumentano più degli stipendi. Uscire dopo decenni dalla deflazione per ritrovarsi dritti in stagflazione sarebbe davvero il colmo! La BOJ, però, continua a mostrarsi fiduciosa e punta tutto su un “circolo virtuoso”: salari più alti che spingono i consumi, e consumi più forti che rendono sostenibili tassi più alti. La pausa attuale serve anche a capire come muoversi dopo le eventuali nuove mosse di Trump. Un rialzo dei tassi, tra l’altro, potrebbe rafforzare lo yen - valuta che il presidente USA considera troppo debole. Uno yen più forte aiuterebbe, certo, ma rischierebbe anche di riportare in scena una volatilità scomoda, come quella vista l’estate scorsa. Ueda sembra deciso a non cogliere di sorpresa i mercati, per evitare che i grandi investitori istituzionali fuggano in massa e mandino all’aria i suoi piani. Non dimentichiamoci che tassi più alti significano anche un debito pubblico più costoso da sostenere. E in Giappone, dove il debito ha già superato il 250% del PIL, non è certo un dettaglio da poco. Secondo il Ministero delle Finanze, nei prossimi anni gli interessi da pagare potrebbero aumentare del 50%. Un conto salato che rischia di pesare sempre di più sui conti pubblici. L’agenda macroeconomica che va dal 24 al 28 marzo 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno l’inflazione degli USA, misurata dal deflatore PCE – il dato preferito dalla Federal Reserve – e gli indici PMI, ma non solo. Per gli Stati Uniti gli investitori monitoreranno anche il Chicago Fed National Activity Index, l’indice dei prezzi delle case, le due letture sulla fiducia dei consumatori elaborata dal Conference Board e dall’Università del Michigan, le vendite nuove abitazioni, l’indice manifatturiero Fed Richmond e della Fed di Kansas City, gli ordini di beni durevoli, i dati dell’EIA sulle scorte e la produzione di greggio, le nuove richieste sussidi disoccupazione, il PIL, la bilancia commerciale di beni, le vendite abitazioni in corso e il reddito e la spesa personali. Per quanto riguarda l’Eurozona, oltre ai PMI, verranno rilasciati anche alcuni indicatori di fiducia. A livello di singoli Paesi, per la Germania sono in agenda anche gli indici IFO, il rapporto sul clima dei consumatori GFK e il tasso di disoccupazione. Dalla Francia arriveranno i numeri sulla fiducia dei consumatori e sull’inflazione. Per la Spagna verranno diffuse le letture del PIL e dell’inflazione mentre dall'Italia sono previsti la bilancia commerciale non-UE, gli indicatori di fiducia, le vendite industriali e i prezzi alla produzione. Infine, per il Regno Unito si attendono anche i dati dell’inflazione, dei prezzi alla produzione, il PIL, la bilancia commerciale e le vendite al dettaglio.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso per lo più negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -1,11%, China A50 -1,62%, Hang Seng -1,83%, il Nikkei chiuso -0,51%, l’Australia -0,17%, Taiwan -0,75%, la Corea del Sud Kospi +0,23%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,68%. Il nostro FTSEMib -0,39%, Dax chiuso -0,47%, Ftse100 -0,63%, Cac40 -0,63%, Zurigo -0,17%. Lo S&P500 +0,08%, il Nasdaq +0,52%, il Russell2000 -0,56%. L’oro ha chiuso a 3.021,40 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 67,89$ per il wti e 72,16$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 42,605. Lo spread BTP/BUND 105,400. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 19,28%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,73%, China A50 +0,58%, Hang Seng -0,27%, il Nikkei chiuso +0,01%, l’Australia +0,07%, Taiwan -0,46%, la Corea del Sud Kospi -0,37%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +1,25%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 3.051,00 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 68,22$ per il greggio e 71,50$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 87.263 e l’Ethereum 2.069.
Buona giornata e buona settimana.

Comments