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Pillole di Mercato

(12° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:

Morgan Freeman: "Finché senti la fatica, sei ancora vivo. Finché sbagli, sei ancora umano. Finché continui a provarci, c’è ancora speranza."

 

5.000 miliardi di dollari di valore di mercato bruciati, con un crollo dell’S&P 500 del 10% in appena 16 sessioni. Wall Street si interroga su quanto durerà questo "periodo di aggiustamento" di cui parlano i funzionari della Casa Bianca, mentre un’ondata di vendite ha spinto gli indici giù di circa il 2% solo questa settimana, nonostante il rimbalzo di venerdì. Ma mentre molti fanno i conti con una volatilità impazzita, chi aveva scommesso su azioni sottovalutate e titoli internazionali, dal Giappone all'Europa, sta guadagnando. I movimenti giornalieri di azioni e obbligazioni USA hanno raggiunto livelli di turbolenza che non si vedevano dai giorni più intensi della battaglia della Federal Reserve contro l'inflazione. Questa volatilità sembra particolarmente violenta soprattutto perché negli ultimi anni il mercato era stato piuttosto tranquillo. Di fatto, la recente disfatta azionaria ha creato un campo di battaglia perfetto per chi ha sempre guardato con scetticismo alla corsa sfrenata dei titoli tech USA. Solo poche settimane fa, gli indici americani toccavano un record dopo l’altro, Bitcoin era sopra i 100.000 dollari e un terzo dell'S&P 500 era concentrato in appena sette titoli. Per molti scettici, era solo questione di tempo prima che questo castello di carte crollasse. C'è un unico grande protagonista dietro questi scossoni di mercato: Donald Trump. L'impatto del suo ritorno alla Casa Bianca sui mercati è stato storico sotto molti aspetti. Tra minacce di dazi e licenziamenti governativi, le azioni statunitensi hanno registrato il peggior inizio di amministrazione dal tracollo finanziario del 2008. Il dollaro, invece, sta vivendo la peggiore performance post-inaugurazione dai tempi del secondo mandato di Nixon nel 1973. Nel frattempo, l’euro e lo yen si sono infiammati, complice l’impennata della spesa per la difesa europea e le mosse restrittive della Bank of Japan sui tassi d’interesse. Il rifugio preferito in questo clima di incertezza? Oro e Treasury. Il metallo prezioso ha guadagnato il 10% dall'inizio del mandato di Trump, il miglior avvio di ciclo presidenziale dai tempi di Jimmy Carter nel 1977. I Treasury sono saliti del 2,5%, un rialzo che non si vedeva dal primo anno di Bill Clinton nel 1993. Ora, tutti aspettano il cosiddetto "Trump put", ovvero un intervento del presidente per frenare le perdite o calmare la volatilità. Ma per il momento, il sentiment resta fragile. La fiducia nella supremazia delle big tech americane è messa alla prova, mentre chi ha puntato sulle azioni internazionali sta finalmente raccogliendo i frutti della propria pazienza. Giovedì l’S&P 500 è entrato ufficialmente in una correzione, perdendo più del 10% rispetto al suo massimo più recente (che è anche il massimo storico). Era prevedibile? Si, ma non per i motivi che potresti immaginare. Dal 1929 il tempo medio tra una correzione e l’altra è stato di 173 giorni. Questa volta siamo arrivati a 343 giornate di fila senza un calo del 10%: praticamente il doppio del solito. Prima o poi doveva succedere! Dal 1928 il mercato ha subito una correzione in media 1,1 volte l’anno. Quelle più pesanti, del 15% o più, capitano ogni due anni, mentre i bear market veri e propri si verificano circa una volta ogni tre anni. L’ultima volta che l’S&P 500 ha fatto un passo falso così grande è stato tra luglio e ottobre 2023, con un calo del 10,3%. All’epoca, la Fed aveva chiarito che i tassi sarebbero rimasti alti per un bel po’ per tenere a bada l’inflazione. Il mercato ci ha messo tre mesi a scendere… ma solo un giorno a rialzarsi. Il 30 ottobre era già fuori dalla correzione, come se nulla fosse successo. Le correzioni tendono a essere parentesi brevi nel grande romanzo della borsa. Dal 1945, in media, servono cinque mesi per toccare il fondo e quattro per recuperare. Spesso fanno più paura di quanta ne meritino davvero. Dal dopoguerra, il mercato perde il 14,3% in 5 mesi durante una correzione, ma impiega solo 4 mesi per recuperare. Ma stavolta il tonfo è stato rapido. Solo tre settimane fa, l’S&P 500 festeggiava nuovi record, spinto dagli utili aziendali solidi che lo trascinavano verso nuove vette. Poi Donald Trump ha brandito i dazi come un’arma commerciale. Minacce, rinvii e nuove tariffe hanno alimentato il timore di un rallentamento economico. E i mercati non l’hanno presa benissimo. Che fare ora? Ecco il punto: una correzione è fisiologica. Fa parte del gioco e, spesso, rappresenta un’occasione per gli investitori di lungo periodo. Vedere il portafoglio colorarsi di rosso non è mai piacevole, ma chi mantiene i nervi saldi ne esce meglio di chi si lascia trascinare dall’emotività. I mercati ribassisti, pur essendo inevitabili, sono più brevi e meno intensi rispetto ai lunghi periodi di crescita. Quando Trump ha vinto le elezioni, Wall Street ha festeggiato come se avesse appena vinto alla lotteria. Gli investitori si sono precipitati ad acquistare azioni, convinti che tagli fiscali, deregulation e una Casa Bianca pro-business avrebbero spinto il mercato verso nuovi record. Ma a poche settimane dall'inizio del suo secondo mandato, la musica è cambiata. L'S&P 500 sta vivendo il peggior inizio di mandato presidenziale dal 2008, quando Obama si insediò nel bel mezzo della crisi finanziaria globale. Se prima le aziende speravano in una regolamentazione più morbida e in tagli fiscali, ora si trovano confuse dal tira e molla sulle tariffe doganali. Anche i consumatori iniziano a sentirsi meno sicuri: se i prezzi salgono e la crescita rallenta, la fiducia nell'economia ne risente. L'incubo che tutti temono si chiama stagflazione: crescita economica anemica combinata a un'inflazione elevata. Un cocktail esplosivo che potrebbe cancellare qualsiasi entusiasmo a Wall Street. E Trump? Non sembra troppo preoccupato. Durante il weekend, ha evitato di commentare se l'America rischia la recessione e ha liquidato le domande sul mercato con un laconico: "Non si può guardare troppo la borsa". La sua amministrazione, nel frattempo, ha definito l'attuale situazione economica come una sorta di "disintossicazione" o "periodo di transizione". Peccato che ciò che a Washington viene visto come un piccolo aggiustamento, a Wall Street assomigli sempre più a un rallentamento economico significativo. Le azioni dei settori difensivi sono in crescita, mentre quelle più sensibili ai cicli economici stanno soffrendo. C'è un settore in particolare che inizialmente sembrava beneficiare dell'entusiasmo post-elettorale: la tecnologia. Ma anche qui l'ottimismo è svanito in fretta. Prendiamo Tesla ad esempio: subito dopo la rielezione di Trump, le azioni della casa automobilistica sono schizzate alle stelle, grazie all'idea che il CEO Elon Musk, vicino al presidente, avrebbe ricevuto un trattamento di favore. Ma tra la decisione di Trump di tagliare i sussidi per i veicoli elettrici e le preoccupazioni che Musk sia troppo distratto tra i suoi vari impegni, il titolo è stato travolto da un‘ondata di pessimismo. Martedì, durante un evento alla Casa Bianca, Trump ha visionato alcuni modelli Tesla e si è intrattenuto con Musk, elogiandolo pubblicamente. "Quest'uomo ha dedicato la sua vita a questo", ha dichiarato, riferendosi al contributo di Musk all'innovazione tecnologica. Poco dopo, alcune voci hanno iniziato a circolare su possibili incentivi per le aziende tech e il mercato ha reagito: il giorno successivo Tesla è stato il miglior titolo dell'S&P 500. Basterà per invertire il trend negativo? Gli investitori restano scettici. La borsa non ama le sorprese e per ora la sola certezza è l'incertezza. Ci sono alcune buone notizie! Negli USA l’inflazione ha rallentato più del previsto. A febbraio l’indice dei prezzi al consumo (CPI) è cresciuto del 2,8% rispetto all'anno scorso, in calo rispetto al 3% di gennaio e sotto la stima del 2,9%. Anche l’inflazione “core” (quella che esclude cibo ed energia) è scesa al 3,1%, meglio delle previsioni (3,2%) e del dato di gennaio (3,3%). Eppure, i mercati non hanno festeggiato. Perché? Gli investitori hanno analizzato i dettagli e non hanno trovato nulla di esaltante. Il rallentamento è troppo graduale, quindi le aspettative sui tagli della Fed si sono ridimensionate. L’inflazione sta rallentando, ma non abbastanza. Se guardiamo da vicino, i prezzi dei servizi scendono, ma troppo piano. Il calo è minimo anche nei beni con prezzi "rigidi", quelli che tendono a non cambiare spesso e, quando lo fanno, di solito aumentano. Uno dei motivi per cui i mercati restano scettici è che il calo dell’inflazione a febbraio è stato guidato quasi esclusivamente dal ribasso dei prezzi dei voli aerei. Il problema è che i biglietti aerei sono super volatili e potrebbero tornare a salire in qualsiasi momento. L’inflazione degli affitti e delle case è ancora un tema caldo. L’indice CPI calcola il costo della casa in base agli affitti medi attuali; quindi, il dato si muove lentamente e non riflette i cambiamenti immediati. Se lo escludessimo, l’inflazione generale sarebbe già intorno al 2%! Ma qui c’è un disallineamento: indici privati, come lo Zillow Rent Index, mostrano che gli affitti stanno rallentando da oltre un anno, mentre l’indice ufficiale resta ancora alto. La discrepanza si sta riducendo, ma resta un punto di discussione. Nel breve termine, gli investitori temono un rimbalzo dell’inflazione. I breakeven inflation calcolati sui Treasury suggeriscono che potremmo rivedere un 4% nei prossimi 12 mesi, con una media del 3% nei prossimi due anni. Se queste previsioni si avverano, la Fed avrà grosse difficoltà a giustificare nuovi tagli dei tassi. Quindi, godiamoci il calo dell’inflazione… finché dura! L’agenda macroeconomica che va dal 17 al 21 marzo 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno le riunioni di politica monetaria della Federal Reserve, Bank of England, BoJ e PBoC, ma non solo. Per gli Stati Uniti gli investitori monitoreranno anche i dati delle vendite al dettaglio, l'indice manifatturiero Empire State NY, l'indice NAHB, i permessi di costruzione, i nuovi cantieri edili residenziali, la produzione industriale, le scorte e la produzione di greggio, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, l'indice manifatturiero Fed Philadelphia, le vendite di abitazioni esistenti e il Leading Index. Guardando al Vecchio Continente, per l'Eurozona si attendono il sentiment ZEW, la bilancia commerciale, l'inflazione, le retribuzioni del quarto trimestre e la fiducia dei consumatori. Per quanto riguarda i singoli Paesi del blocco europeo, gli operatori attenderanno per la Germania gli indici ZEW e i prezzi alla produzione, mentre per l'Italia l'inflazione e la bilancia commerciale. Passando al continente Asiatico, per la Cina verranno rilasciati l'indice dei prezzi delle abitazioni, la produzione industriale, le vendite al dettaglio, il tasso di disoccupazione. Per il Giappone focus sulla bilancia commerciale, produzione industriale e sull'inflazione.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +1,60%, China A50 +2,98%, Hang Seng +2,18%, il Nikkei chiuso +0,77%, l’Australia +0,52%, Taiwan +0,03%, la Corea del Sud Kospi -0,06%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,27%. Il nostro FTSEMib +1,73%, Dax chiuso +1,86%, Ftse100 +1,05%, Cac40 +1,13%, Zurigo +0,63%. Lo S&P500 +2,13%, il Nasdaq +2,61%, il Russell2000 +2,53%. L’oro ha chiuso a 3.001,10 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 67,18$ per il wti e 70,65$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 42,290. Lo spread BTP/BUND 106,450. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 21,77%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,23%, China A50 +0,15%, Hang Seng +1,01%, il Nikkei chiuso +1,13%, l’Australia +0,83%, Taiwan +0,69%, la Corea del Sud Kospi +1,56%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,34%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva mentre gli Stati Uniti negativa. L’oro si attesta a 2.994,70 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 67,37$ per il greggio e 71,07$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 83.190e l’Ethereum 1.897.

 

Buona giornata e buona settimana.


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