top of page

Pillole di Mercato

(9° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:

Seneca: "Se un uomo non sa verso quale porto sia diretto, nessun vento potrà mai essergli favorevole"

 

Settimana nera per Wall Street. Venerdì la Borsa americana ha chiuso con la peggiore sessione del 2025. Gli investitori sono stati colpiti da una raffica di dati economici sotto le attese e da un aumento delle aspettative d’inflazione per i prossimi anni. I consumatori si aspettano che i prezzi continueranno a salire nel lungo periodo, e questo complica le cose per la Fed, che potrebbe essere costretta a mantenere i tassi alti più a lungo. Il mercato ha reagito male: l’S&P 500 ha perso l’1,7%, il Nasdaq è crollato del 2,3% e il Dow Jones ha chiuso in ribasso del 2,5%. I settori più sensibili all’andamento dell’economia, come i trasporti e le piccole imprese (small cap), sono stati tra i più penalizzati. Anche i “Magnifici Sette” - il gruppo delle big tech americane che ha guidato i mercati negli ultimi anni - ha registrato un calo del 2,5%. Venerdì è stato anche un giorno di scadenza per un’enorme quantità di opzioni su azioni ed ETF, per un valore totale di circa 2.700 miliardi di dollari. Questi eventi tendono ad aumentare la volatilità, amplificando i movimenti del mercato. E come se non bastasse, sono emerse indiscrezioni su un nuovo coronavirus scoperto nei pipistrelli in Cina. La reazione è stata la classica fuga verso la sicurezza: gli investitori hanno abbandonato le azioni per rifugiarsi nei bond. I rendimenti dei Treasury a 10 anni - le obbligazioni di riferimento per i mercati - sono scesi al 4,43%, segnando la sesta settimana consecutiva di ribasso. Dopo due anni di forti rialzi, è lecito chiedersi se siamo davanti a una semplice pausa o all’inizio di una correzione più profonda. Alcuni investitori stanno iniziando a muoversi con più cautela. Secondo Goldman Sachs, gli hedge fund stanno riducendo le loro posizioni sui colossi del tech. Ma il vero segnale che pochi stanno notando è un altro: l’interesse per le vendite allo scoperto (short interest) sull’S&P 500 è salito al 2% della capitalizzazione totale, il livello più alto dal 2020. Nel frattempo, in Europa la situazione sembra diversa. Le azioni hanno attirato il più grande afflusso di capitali dall’inizio della guerra in Ucraina. Secondo Bank of America, nella settimana fino al 19 febbraio sono entrati 4 miliardi di dollari nei fondi azionari europei. C’è più fiducia nei mercati di Germania, Cina, Giappone e Corea del Sud rispetto agli USA. Il mercato è diviso tra la paura di una correzione e la speranza che l’economia resti abbastanza forte da reggere il colpo. Con i tassi ancora alti, l'inflazione che continua a preoccupare e nuovi elementi di rischio all’orizzonte, l’unica certezza è che i prossimi mesi saranno tutto fuorché noiosi. Le azioni tecnologiche cinesi hanno preso il volo. Un rally così non si vedeva da tempo. Il settore è stato spinto da risultati di bilancio migliori del previsto e dall’inarrestabile entusiasmo per l’intelligenza artificiale. L’Hang Seng Tech Index è entrato in bull market. Alibaba ha guidato la carica con un balzo del 15% dopo aver pubblicato vendite superiori alle stime. Anche Bilibili e Lenovo hanno visto i loro titoli schizzare in alto, mentre il produttore di chip per l’AI Cambricon Technologies ha raggiunto il limite giornaliero del +20%. La sensazione è che qualcosa stia cambiando. Il presidente Xi Jinping ha recentemente incontrato Jack Ma e altri big del settore, un segnale che il governo, dopo anni di strette regolatorie, potrebbe voler adottare un atteggiamento più morbido nei confronti delle imprese private. Forse, di fronte al rallentamento economico, Pechino non vede più le big tech come il male assoluto, ma come un elemento chiave per assorbire la disoccupazione. Anche l’economia interna si sta rianimando. A gennaio l’offerta di moneta ha toccato nuovi record grazie alla spinta fiscale promessa da Xi lo scorso settembre. Il governo ha emesso bond per 693 miliardi di yuan, più del doppio rispetto all’anno precedente. Ora il focus è sulla domanda interna. Per le aziende tech che vivono di consumi digitali, è un’ottima notizia. C’è però un ostacolo non da poco: la feroce competizione interna. Le stesse aziende che stanno trainando il rally sono pronte a farsi la guerra per le quote di mercato. Gli investitori stanno tornando a guardare alla Cina con interesse, ma il rischio resta altissimo. Per molto tempo, Pechino ha trattato gli investitori come pedine sacrificabili sulla scacchiera politica, con regolamentazioni imprevedibili che hanno affondato miliardi di capitalizzazione dall’oggi al domani. Basti ricordare la stretta sul settore dell’istruzione online, la repressione delle IPO tech e il bavaglio imposto alle aziende troppo "indipendenti". Oggi il vento sembra soffiare a favore delle big tech, ma nulla impedisce al governo cinese di cambiare rotta all’improvviso. Dall'altra sponda dell'ocieano, Walmart ha fatto un tonfo del 6,5% dopo la pubblicazione degli utili. Quando il colosso del retail lancia un SOS, significa che qualcosa non sta girando per il verso giusto. La sua CFO ha chiarito che l’incertezza legata al comportamento dei consumatori e alle condizioni economiche globali pesa più di quanto si voglia ammettere. Guarda caso, proprio la scorsa settimana, i dati sulle vendite al dettaglio avevano già spento le speranze di una ripresa solida. Walmart (e le aziende di beni di prima necessità in generale) tende a resistere meglio nelle fasi di turbolenza economica, ma questa volta il colosso sembra riconoscere che il consumatore medio è sotto pressione, tra prezzi ancora troppo alti e tassi di interesse che non accennano a scendere. Sempre più persone stanno usando le carte di credito per tirare avanti e il numero di prestiti in difficoltà è in aumento. Il tasso di insolvenza sui prestiti ai consumatori negli USA è salito al 2,7%. Dopo le vendite al dettaglio deludenti e i dati negativi sulla fiducia dei consumatori, è lecito chiedersi quanto ancora possa reggere la crescita economica. L’incertezza sui mercati è ormai palpabile. Dopo il rally del 2024, i titoli USA sono rimasti indietro rispetto a quelli globali e il fatto che l’S&P 500 ha chiuso ai massimi storici già tre volte nel 2025 senza riuscire a decollare la dice lunga. L’impressione generale è che i mercati stiano entrando in una fase di consolidamento. Dopo un inizio anno esplosivo, gli acquisti da parte dei trader retail potrebbero iniziare a rallentare in vista della stagione fiscale di marzo. Anche i flussi provenienti dai fondi pensione potrebbero seguire una tendenza stagionale ben nota: gennaio e febbraio sono tipicamente i mesi più forti per l'allocazione di asset, ma con l’arrivo di marzo gli afflussi tendono a diminuire. Ma tornando a Walmart, l’azienda non è certo sull’orlo del baratro. Le sue azioni sono praticamente raddoppiate da dicembre 2023, quindi qualche presa di profitto era nell’aria. A onor del vero, la stessa azienda ha dichiarato che gennaio è stato il mese migliore del trimestre. Il pessimismo potrebbe essere eccessivo, ma il warning di Walmart è solo l’ennesimo segnale che il consumatore americano non sta vivendo il suo periodo migliore. Negli ambienti finanziari si vocifera di un piano che potrebbe ridisegnare gli equilibri economici globali. L’hanno ribattezzato Mar-a-Lago Accord, un nome che richiama vecchie intese storiche. Di ufficiale non c’è nulla. Per ora, resta solo un’ipotesi su cui economisti e analisti stanno ragionando. L’idea di fondo sarebbe ristrutturare il debito americano, prendendo in mano il destino del dollaro. A pensarci bene, non sarebbe la prima volta. Nel 1985, il Plaza Accord fu la risposta della Casa Bianca a un dollaro troppo forte che stava distruggendo l’industria americana e gonfiando il deficit commerciale. I leader globali decisero di intervenire per far svalutare il biglietto verde. Funzionò talmente bene che, due anni dopo, fu necessario il Louvre Accord per raddrizzare il tiro e impedire che il dollaro crollasse troppo. Fu un riequilibrio necessario per un sistema economico che, fino a quel momento, era stato lasciato in balia dei mercati. Oggi il mondo è diverso, ma una correzione sembra necessaria dopo decenni di globalizzazione sfrenata. Gli USA si ritrovano con un'industria ridimensionata, il dollaro continua a dominare il commercio mondiale e il debito nazionale sfonda ogni record. Qui entra in gioco l’idea del Mar-a-Lago Accord. Il concetto è tanto semplice quanto dirompente. Se gli Stati Uniti riuscissero a convincere (o costringere) alcuni dei loro creditori esteri a convertire i titoli del Tesoro in obbligazioni ultra-lunghe, il peso del debito sarebbe drasticamente ridotto. La pressione sul bilancio federale si allenterebbe e ci sarebbe più margine per ridurre le tasse e rilanciare l’industria. Ovviamente, un piano del genere scatenerebbe reazioni a catena sui mercati globali. La squadra economica trumpiana non si limita solo a immaginare una ristrutturazione del debito: vuole anche ridefinire il commercio mondiale attraverso l’imposizione di dazi su larga scala. Se l’America importa più di quanto esporta, allora è l’unico paese con un’arma commerciale veramente efficace. Svalutare il dollaro richiederebbe il consenso della Fed (e potrebbe essere vanificato dalle contromisure europee e asiatiche), mentre i dazi sono una leva che il presidente può azionare senza passare dal Congresso. E, al contrario della svalutazione, portano anche introiti nelle casse dello Stato. Il gioco, quindi, sarebbe quello di alzare le tariffe doganali per costringere i partner commerciali a rinegoziare. Chi vorrà evitare i dazi dovrà concedere qualcosa: più spese militari per l’Europa, più investimenti industriali negli USA per la Cina, più flessibilità sui cambi per chi ha una moneta troppo debole rispetto al dollaro. In altre parole, un riequilibrio della globalizzazione con gli Stati Uniti a dettare le regole. Proprio come nel Plaza Accord, ma con un approccio decisamente più aggressivo. Al momento, i mercati restano scettici. Gli investitori obbligazionari non stanno mostrando segnali di panico, il che suggerisce che questa teoria, per ora, viene presa con le pinze. Trump ha già dimostrato di essere disposto a mettere in discussione le istituzioni storiche, come la NATO. Se fosse pronto a stravolgere gli equilibri geopolitici, perché non potrebbe fare lo stesso con il sistema finanziario globale? E, soprattutto, se l’America decidesse davvero di riscrivere le regole, il resto del mondo sarebbe pronto a giocare questa partita? L’agenda macroeconomica che va dal 24 al 28 febbraio 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno i dati dell’inflazione dell’Eurozona e degli USA, quest’ultimi espressi dal deflatore PCE, la misura preferita dalla Federal Reserve. Fronte trimestrali, al test dei conti ci sarà Nvidia, mercoledì 26 febbraio. Per gli Stati Uniti si attendono anche le misurazioni del Chicago Fed National Activity Index, l’indice manifatturiero della Fed di Dallas, l’indice dei prezzi delle abitazioni, la fiducia dei consumatori del Conference Board, l’indice manifatturiero della Fed di Richmond, le vendite di case nuove, le scorte e la produzione di greggio, gli ordini di beni durevoli, il PIL del quarto trimestre 2024, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, le vendite di abitazioni in corso, gli indici della Fed di Kansas City, la bilancia commerciale di beni e il reddito e la spesa personali. Guardando all’Eurozona, gli investitori monitoreranno anche alcuni indicatori di fiducia (consumatori e aziende). Per quanto riguarda i singoli Paesi del blocco europeo, per la Germania si attendono gli indici IFO, il PIL del quarto trimestre 2024, il rapporto GFK sulla fiducia dei consumatori, il tasso di disoccupazione, le vendite al dettaglio e l’inflazione. Per l’Italia si attendono gli indicatori di fiducia (imprese e consumatori), le vendite industriali, la bilancia commerciale e l’inflazione. Per la Francia occhi sull’inflazione e il PIL del quarto trimestre 2024. Per la Spagna gli investitori presteranno attenzione ai dati dell’inflazione. Infine, segnaliamo per il Regno Unito l’uscita dell’indice dei prezzi delle case, mentre per il Giappone verranno rilasciate le letture dell’inflazione, produzione industriale e delle vendite al dettaglio.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,79%, China A50 +0,70%, Hang Seng +3,09%, il Nikkei chiuso +0,33%, l’Australia -0,32%, Taiwan +1,03%, la Corea del Sud Kospi +0,06%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,63%. Il nostro FTSEMib +0,45%, Dax chiuso -0,12%, Ftse100 -0,04%, Cac40 +0,39%, Zurigo +1,10%. Lo S&P500 -1,71%, il Nasdaq -2,20%, il Russell2000 -2,94%. L’oro ha chiuso a 2.953,20 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 70,22$ per il wti e 74,05$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 47,195. Lo spread BTP/BUND 108,400. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 18,21%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,66%, China A50 -0,25%, Hang Seng -0,82%, il Nikkei chiuso -1,14%, l’Australia +0,14%, Taiwan -0,70%, la Corea del Sud Kospi -0,48%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,96%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva, oltre +1,00% la Germania, così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 2.953,39 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 70,19$ per il greggio e 73,88$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 95,739 e l’Ethereum 2.723.

 

Buona giornata e buona settimana.




Comments


Mi trovi anche su:
  • Facebook
Tutti i diritti riservati © 2023 Federico Caligiuri
Email: segreteriacaligiuri@gmail.com  P.IVA - 02053160590

Il contenuto di questo sito è solo a scopo informativo, non devi interpretare tali informazioni o altro materiale come consigli legali, fiscali, di investimento, finanziari o di altro tipo. Nulla di quanto contenuto nel nostro sito costituisce una sollecitazione, una raccomandazione, un'approvazione o un'offerta da parte di Federico Caligiuri per acquistare o vendere titoli o altri strumenti finanziari in questa o in qualsiasi altra giurisdizione in cui tale sollecitazione o offerta sarebbe illegale ai sensi delle leggi sui titoli di tale giurisdizione. Tutti i contenuti di questo sito sono informazioni di natura generale e non riguardano le circostanze di un particolare individuo o entità. Nulla di quanto contenuto nel sito costituisce una consulenza professionale e/o finanziaria, né alcuna informazione sul sito costituisce una dichiarazione esaustiva o completa delle questioni discusse o della legge ad esse relativa. Federico Caligiuri non è un fiduciario in virtù dell'uso o dell'accesso al Sito o al Contenuto da parte di qualsiasi persona. Solo tu ti assumi la responsabilità di valutare i meriti e i rischi associati all'uso di qualsiasi informazione o altro Contenuto del Sito prima di prendere qualsiasi decisione basata su tali informazioni o altri Contenuti. In cambio dell'utilizzo del Sito, accetti di non ritenere Federico Caligiuri, i suoi affiliati o qualsiasi terzo fornitore di servizi responsabile di eventuali richieste di risarcimento danni derivanti da qualsiasi decisione presa sulla base di informazioni o altri Contenuti messi a tua disposizione attraverso il Sito.

RISCHI DI INVESTIMENTO

Ci sono rischi associati all'investimento in titoli. Investire in azioni, obbligazioni, exchange traded funds, fondi comuni e ogni altro strumento finanziario comporta il rischio di perdita.  La perdita del capitale è possibile. Alcuni investimenti ad alto rischio possono utilizzare la leva finanziaria, che accentuerà i guadagni e le perdite. Gli investimenti esteri comportano rischi speciali, tra cui una maggiore volatilità e rischi politici, economici e valutari e differenze nei metodi contabili.  La performance passata di un titolo o di un'azienda non è una garanzia o una previsione della performance futura dell'investimento. La totalità dei contenuti presenti nel sito internet è tutelata dal diritto d’autore. Senza previo consenso scritto da parte nostra non è pertanto consentito riprodurre (anche parzialmente), trasmettere (né per via elettronica né in altro modo), modificare, stabilire link o utilizzare il sito internet per qualsivoglia finalità pubblica o commerciale. Qualsiasi controversia riguardante l’utilizzo del sito internet è soggetta al diritto italiano, che disciplina in maniera esclusiva l’interpretazione, l’applicazione e gli effetti di tutte le condizioni sopra elencate. Il foro di Roma è esclusivamente competente in merito a qualsiasi disputa o contestazione che dovesse sorgere in merito al presente sito internet e al suo utilizzo. Accedendo e continuando nella lettura dei contenuti di questo sito Web dichiari di aver letto, compreso e accettato le sopracitate informazioni legali.

bottom of page