Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 17 feb
- Tempo di lettura: 7 min
(8° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Publio Siro: "Quando agisci cresce il coraggio. Quando rimandi cresce la paura"
I mercati hanno chiuso la settimana con un rally obbligazionario, mentre un calo inaspettato delle vendite al dettaglio ha riacceso le speranze di tagli ai tassi da parte della Fed. Tuttavia, il report sull’inflazione di questa settimana ha sollevato qualche dubbio sulla velocità con cui Powell e soci potranno muoversi. I rendimenti del decennale sono scivolati sotto il 4,5%, segnando la quinta settimana consecutiva di guadagni (la striscia più lunga dal 2021). I mercati ora scontano un taglio dei tassi entro settembre. Settimana positiva per tutti gli indici: il Dow ha guadagnato lo 0,6%, l’S&P 500 è salito dell’1,3%, e il Nasdaq ha messo a segno un +2,8%. Intanto, Meta ha registrato la ventesima sessione consecutiva in rialzo, mentre Dell è schizzata dopo le voci di un accordo da 5 miliardi di dollari per rifornire i server dell'AI di Elon Musk. Intel, invece, ha chiuso la settimana migliore dal 2000, nonostante il calo di venerdì. Dopo essersi dati alla pazza gioia durante le feste, a gennaio gli americani hanno chiuso il portafoglio. Le vendite al dettaglio sono crollate dello 0,9%, ben oltre il -0,2% atteso dagli economisti. I settori più colpiti sono stati auto, elettronica, mobili, elettrodomestici ed e-commerce. Il crollo nei beni costosi come arredamento ed elettronica suggerisce un classico "post-sbornia" da shopping natalizio. Il dollaro ha perso terreno, chiudendo la settimana in calo dell’1,2%. Anche Bitcoin ha rallentato, scendendo a 97.000 dollari. L’oro ha ripiegato dai massimi storici, con i future scesi fino a 2.895 dollari l'oncia, mentre il petrolio ha chiuso la settimana a 70,50 dollari al barile. Il 2024 non inizia nel migliore dei modi per chi sperava in un allentamento della politica monetaria. I progressi nella lotta all’inflazione si sono fermati. Secondo il Bureau of Labor Statistics, l’indice dei prezzi al consumo (CPI) ha registrato il maggior rialzo mensile da agosto 2023. Il core CPI, che esclude cibo ed energia, è aumentato dello 0,4%, superando le attese. Cosa sta spingendo al rialzo i prezzi? Due terzi dell’aumento del cibo è dovuto al rincaro delle uova: +15% in un solo mese. Dal 2022, oltre 100 milioni di galline ovaiole sono state abbattute a causa del virus. Meno galline = meno uova = prezzi alle stelle. Nei supermercati scaffali vuoti e limiti di acquisto per cliente. I prezzi delle auto usate stanno risalendo in modo preoccupante: +2,2% a gennaio (+29,7% annualizzato!), il peggior aumento da maggio 2023. Si tratta del quinto mese consecutivo di rincari. Il trend è chiaro. La voce più pesante dell’indice CPI è salita dello 0,4% a gennaio, contribuendo per il 30% all’aumento complessivo. Mancano case in affitto, mentre i costi di manutenzione e delle assicurazioni aumentano e i proprietari scaricano questi rincari sugli inquilini. La brutta notizia è che la Fed può fare poco o niente per ridurre questi costi. La componente più ostinata dell’inflazione: +0,8% su base mensile, +6,35% annualizzato. I servizi pesano per oltre il 60% del CPI e, a differenza dei beni, non vedono sconti o riduzioni di prezzo. Se un ristorante aumenta i prezzi, difficilmente tornerà indietro. Powell è stato chiaro: i tassi resteranno alti finché l’inflazione nei servizi non rallenta. E per ora, non ci sono segnali di rallentamento. Gennaio è storicamente un mese con rialzi sopra la media, perché molte aziende rivedono listini e tariffe all’inizio dell’anno. Nel post-pandemia, questo effetto si è amplificato. Diverse analisi suggeriscono che il balzo di gennaio potrebbe essere un’anomalia e che i prezzi si stabilizzeranno nei prossimi mesi. Ma per ora, dobbiamo fare i conti con un’inflazione più ostinata del previsto e con una Fed che non ha alcuna fretta di tagliare i tassi. Trump si fa più aggressivo con le cosiddette "tariffe reciproche". Se un paese tassa i prodotti americani, gli USA risponderanno con la stessa moneta. Facile a dirsi, ma molto più complicato a farsi. Un tempo gli USA imponevano dazi altissimi. Poi nel 1934 hanno cambiato rotta e il commercio si è globalizzato. Negli ultimi decenni i dazi sono scesi sotto il 5%, ma ora Trump vuole riscrivere da zero le regole del mercato. Il suo piano prevede tariffe personalizzate per ogni paese. Si punta a un commercio "più equo". Ma equo per chi? Alcuni paesi, come India, Argentina e molti stati africani, impongono dazi molto più alti sugli USA di quanto gli USA facciano con loro. Trump vuole pareggiare i conti, ma c'è un problema: il commercio mondiale non è un semplice scambio di favori. Se gli USA alzano le tariffe, gli altri paesi potrebbero rispondere a loro volta. Una guerra commerciale farebbe aumentare i prezzi per tutti. L'UE ha un'IVA alta e regolamenti che penalizzano certi prodotti americani. Se Trump decide di colpire questi aspetti, la tensione con Bruxelles potrebbe salire alle stelle. Lo stesso discorso vale per il Giappone, che impone tasse di consumo che rendono più difficili le esportazioni USA. Fino a che punto sarà disposto a spingersi Trump? In passato ha già usato i dazi come strumento di pressione per ottenere concessioni. Questa volta, però, sembra più deciso che mai a portare avanti una politica commerciale aggressiva. Stiamo assistendo al ritorno del protezionismo? Se così fosse, ci troveremmo davanti a una svolta storica che potrebbe ridisegnare gli equilibri economici mondiali. L'oro sta vivendo il suo momento di gloria, con i prezzi che si avvicinano ai 3.000 dollari l'oncia. Un rialzo così rapido fa sorgere inevitabilmente una domanda: il trend è davvero sostenibile? Nei mercati surriscaldati, le teorie per spiegare il fenomeno spuntano come funghi. In questo momento, ce ne sono almeno due che stanno catturando l'attenzione. Negli ultimi 12 mesi, il prezzo dell’oro è aumentato del 45%. Si dice che Trump potrebbe rivalutare le riserve auree degli Stati Uniti, che oggi sono contabilizzate a un ridicolo prezzo di 42 dollari l’oncia. Portarle al valore di mercato attuale aggiungerebbe 800 miliardi di dollari al bilancio nazionale, riducendo il bisogno di emettere nuovo debito. Questa mossa potrebbe essere positiva per i Treasury e per il dollaro, ma il collegamento con un ulteriore rialzo dell’oro è piuttosto debole. Poi c’è il rumor che dieci compagnie assicurative cinesi abbiano ottenuto il via libera per investire fino all’1% dei loro asset in oro fisico. Potenzialmente, potrebbero comprare 27 miliardi di dollari in lingotti. Sembra un'enorme spinta rialzista, ma c’è un dettaglio: questa mossa era nell’aria da mesi e il via libera non significa che queste aziende si butteranno subito a comprare oro come se non ci fosse un domani. La Banca centrale cinese ha effettivamente ripreso gli acquisti, aggiungendo 15 tonnellate di oro alle sue riserve alla fine del 2024. Ma attenzione a un segnale importante: il premio sull’oro in Cina - ovvero la differenza tra il prezzo dell’oro scambiato alla Borsa di Shanghai (SGE) e quello internazionale - non si è mosso. Se fosse la Cina a trainare questa corsa dell’oro, ci aspetteremmo un rialzo del prezzo locale rispetto a quello internazionale. Ma questo non sta succedendo. Le riserve auree della banca centrale cinese continuano a crescere. Chi sta davvero spingendo l’oro così in alto? La maggior parte dei rialzi sta avvenendo durante le ore di contrattazione negli Stati Uniti, segno che a muovere i prezzi sono più i capitali occidentali che quelli orientali. I fondi di investimento stanno inseguendo il trend, ma questo genere di movimenti si sgonfia rapidamente se il ritmo dei rialzi non viene mantenuto. C’è poi un altro fattore che sta creando tensione sul mercato: i problemi di consegna dei futures. Spostare fisicamente l’oro da Londra, Toronto o Zurigo a New York è costoso e sta aggravando uno short squeeze, ovvero una corsa forzata a coprire le posizioni ribassiste. Queste situazioni di arbitraggio non durano a lungo. Non ci sono shock economici o politici imminenti che possano giustificare ulteriori impennate. Il contesto geopolitico, seppur instabile, sembra tendere verso una fase più tranquilla. È interessante anche notare che le azioni delle società minerarie aurifere e gli altri metalli preziosi non stanno seguendo l’oro di pari passo. Che il rally sia trainato più dalla speculazione che da una reale domanda di metallo fisico? I motivi rialzisti per l’oro sono ormai chiari e ben noti, mentre quelli ribassisti restano in secondo piano. Quanto ancora può durare questa corsa? L’agenda macroeconomica che va dal 17 al 21 febbraio 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno i verbali dell'ultima riunione della Fed e gli indici PMI (manifatturiero, servizi e composito) relativi a febbraio, ma non solo. Per gli Stati Uniti si attendono anche l’indice manifatturiero Empire State di New York, l’indice NAHB (fiducia del mercato immobiliare residenziale), i permessi di costruzione, i nuovi cantieri edili residenziali, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, l’indice della Fed di Philadelphia, il Leading Index, le scorte e la produzione di greggio, le vendite di abitazioni esistenti e la fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan. Guardando al Vecchio Continente, per l’Eurozona gli investitori monitoreranno anche la bilancia commerciale e il Sentiment ZEW. Passando ai singoli Paesi del blocco europeo, per la Germania sono attesi l’indice ZEW e i prezzi alla produzione. Per la Francia si attendono l’inflazione, mentre per l’Italia la bilancia commerciale e i dati sull’indice dei prezzi al consumo. Per quanto riguarda il Regno Unito, gli operatori presteranno attenzione alle nuove richieste di sussidi di disoccupazione, tasso di disoccupazione, salari medi orari, inflazione, prezzi alla produzione e le vendite al dettaglio. Guardando al continente asiatico, per la Cina si attendono l’indice dei prezzi delle abitazioni e la decisione sui tassi di interesse da parte della PboC. Per il Giappone si attendono il PIL del quarto trimestre 2024, la produzione industriale, la bilancia commerciale e l’inflazione. Segnalo infine che domani Wall Street sarà chiusa per festività.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno positivi con poche eccezioni. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,25%, China A50 +0,59%, Hang Seng +2,50%, il Nikkei chiuso -0,83%, l’Australia +0,19%, Taiwan -1,05%, la Corea del Sud Kospi +0,27%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,54%. Il nostro FTSEMib +0,18%, Dax chiuso -0,44%, Ftse100 -0,37%, Cac40 +0,18%, Zurigo -0,84%. Lo S&P500 -0,01%, il Nasdaq +0,41%, il Russell2000 -0,10%. L’oro ha chiuso a 2.900,70 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 70,71$ per il wti e 74,74$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 50,685. Lo spread BTP/BUND 109,050. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 14,77%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi con poche eccezioni. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,01%, China A50 -0,48%, Hang Seng -0,02%, il Nikkei chiuso -0,01%, l’Australia -0,22%, Taiwan +1,52%, la Corea del Sud Kospi +0,57%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,29%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come gli Stati Uniti. L’oro si attesta a 2.910,70 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 70,74$ per il greggio e 74,91$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 96.390 e l’Ethereum 2.679.
Buona giornata e buona settimana.

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