Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 27 gen
- Tempo di lettura: 8 min
(5° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Confucio: "Quando fai qualcosa, sappi che avrai contro chi voleva fare la stessa cosa, chi voleva fare il contrario e chi non voleva fare niente "
La prima settimana dell’era Trump è stata tutto fuorché noiosa per i mercati finanziari, anche se non nel modo che molti si aspettavano. Le azioni americane sono salite, ma meno rispetto a quelle in Giappone, Germania e persino in alcuni mercati emergenti. L’S&P 500 ha registrato un +1,7%, il miglior inizio di mandato presidenziale dai tempi di Reagan nel 1985. Nel frattempo, il dollaro ha perso terreno contro quasi tutte le principali valute, mentre i Treasury sono rimasti stabili e la volatilità è scesa ai minimi da dicembre. Trump si è dato da fare: ordini esecutivi a raffica, conferenze stampa improvvisate e viaggi in lungo e in largo per gli USA. Eppure, è stato ciò che non ha fatto - imporre subito dazi sui partner commerciali degli Stati Uniti - a sorprendere davvero i mercati. Tra le aziende sotto i riflettori, Oracle Corp. ha guadagnato il 14%, il massimo in quattro mesi, grazie alla sua partecipazione in una joint venture da 100 miliardi di dollari sull’intelligenza artificiale sostenuta da Trump. Al contrario, Tesla ha perso terreno dopo che il presidente ha ipotizzato l’eliminazione dei sussidi per i veicoli elettrici. Nonostante la calma apparente nei mercati, con Trump tutto può cambiare da un momento all’altro. L’agenda della sua amministrazione - che punta a una minore inflazione, un dollaro più debole e dazi - solleva non poche domande. Riuscire a ottenere tutto contemporaneamente sarà una sfida. Il petrolio, intanto, ha registrato il primo calo settimanale dell’anno, dopo che Trump ha chiesto una riduzione dei prezzi. Nel frattempo, Vladimir Putin si è detto pronto a discutere le questioni energetiche con il presidente americano. Donald Trump è di nuovo alla Casa Bianca e, diciamolo, il mondo si sta preparando al peggio. Trump eredita un’economia in salute: nel 2024, il PIL è salito del 2,8% e la crescita prevista per i prossimi anni è sopra il 2%, il che gli permette di fare "esperimenti economici". Ma il Fondo Monetario Internazionale (FMI) avverte che misure come tariffe del 10%, restrizioni all’immigrazione e nuovi tagli fiscali potrebbero rallentare la crescita di circa 1 punto percentuale nel 2025 e di un altro 0,5% nel 2026. Il vero cambiamento si vedrà nel lungo periodo. Trump sembra puntare su un’economia dove le grandi aziende prosperano, deregolamentando a destra e a manca e premiando chi è politicamente vicino a lui. In economia è chiamato “capitalismo clientelare”, un sistema in cui la competizione diminuisce, la produttività cala e le disuguaglianze aumentano. E’ dura ammetterlo, ma per l’Europa Trump potrebbe essere un bel problema. Con un surplus commerciale gigantesco verso gli USA, l’UE è un bersaglio facile per le politiche protezionistiche. Tariffe mirate rischiano di rallentare un’economia già fiacca. L'Europa esporta molti più beni verso gli USA di quanti ne importi. Cosa deve fare allora l’Europa? Nella prima presidenza Trump, l’UE aveva evitato il peggio comprando più gas e soia dagli americani. Potrebbe farlo di nuovo, ma difficilmente risolverebbe davvero il problema. Il settore automobilistico europeo sembra particolarmente a rischio, dato l’ampio squilibrio commerciale tra UE e Stati Uniti. Per prima cosa i paesi membri dovrebbero smettere di litigare e unirsi. Sul piano esterno, servono alleanze e nuovi accordi commerciali per ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Internamente, invece, bisogna puntare su una crescita più equilibrata, meno legata alle esportazioni e più concentrata su consumi e investimenti locali. Trump è una sveglia per l’Europa: una sfida, certo, ma anche un’occasione per ripensare il futuro economico. Se da un lato economisti e esperti sono preoccupati per l’effetto Trump in Europa, dall’altro gli investitori si tuffano sulle azioni del Vecchio Continente sperando in un approccio ai dazi commerciali più morbido del previsto. Il mercato sembra convincersi che la situazione potrebbe non essere così grave come molti temono. L’indice europeo Stoxx 600 ha recentemente toccato un record e, con un guadagno di circa il 4%, sembra destinato a superare l’S&P 500 per il secondo mese di fila. E mentre i gestori di fondi sono ancora ampiamente posizionati per gli annunci di Trump su tariffe e tagli all'immigrazione, il sondaggio di Bank of America ha rilevato una brusca rotazione dalle azioni statunitensi verso l'Europa questo mese. L'allocazione verso le azioni della regione è aumentata, passando da un sottopeso del 22% a un sovrappeso netto dell'1% a gennaio. Questo rappresenta il secondo maggiore incremento nell'esposizione alla regione registrato negli ultimi 25 anni. All’infuori del mercato azionario, non si percepisce grande entusiasmo per l’Europa, i cui problemi spaziano dall'ascesa della destra dura a una potenziale divisione sulla politica fiscale al centro tra Francia e Germania. L'ottimismo è a terra, soprattutto in Germania, dove sia i sondaggi IFO che ZEW sul sentiment suggeriscono che le aziende stanno scivolando sempre più nel pessimismo. C'è un ampio consenso sul fatto che i problemi di competitività della Germania potrebbero peggiorare con l'insediamento di Trump. In particolare, la deregolamentazione USA viene vista come una minaccia competitiva significativa in diversi settori, al pari dei potenziali dazi. Le elezioni tedesche del mese prossimo rappresentano un’opportunità per cambiare rotta, allentando il “freno al debito” introdotto dopo la crisi finanziaria globale e avviando una politica di spesa fiscale espansiva. Ma tutto dipenderà dall’ottenere una chiara maggioranza che escluda Alternative für Deutschland, contraria all’eliminazione del freno. Nel frattempo, le aspettative per i tagli dei tassi della BCE sono state ridimensionate negli ultimi due mesi. Allora perché la ripresa e l'improvviso interesse dei gestori di fondi? In gran parte perché i mercati azionari europei sono notoriamente economici. Questa convenienza, però, potrebbe essere sopravvalutata. L'Europa deve fare i conti con la sua carenza di grandi aziende leader nei settori che trainano la crescita economica globale. Un’analisi di Goldman Sachs Investment Strategy Group evidenzia che la zona euro ha una quota minima di queste aziende rispetto a Cina e Stati Uniti. È naturale, quindi, che i multipli degli utili complessivi del mercato sembrino bassi. Azioni economiche? Si, ma per un motivo! Il panorama bancario italiano sta vivendo una stagione di trasformazioni epiche. È una storia fatta di ambizioni, strategie e colpi di scena. UniCredit, Banco BPM, Monte dei Paschi… ognuno di loro ha un ruolo da protagonista in questa trama intricata. Ma chi guiderà il finale? Tutto è partito con Andrea Orcel, il carismatico CEO di UniCredit, che ha sorpreso tutti con un'offerta da 10,5 miliardi per Banco BPM, nella speranza di sorpassare Intesa Sanpaolo e conquistare il titolo di banca più grande d’Italia. Orcel ha in mente molto più di una semplice acquisizione e guarda oltre i confini italiani. Il suo piano prevede l'espansione in Germania attraverso Commerzbank e in Polonia, grazie a Hypovereinsbank. Le elezioni anticipate in Germania e le resistenze del governo tedesco complicano l'operazione, ma Orcel è abituato alle sfide. Giuseppe Castagna, CEO di Banco BPM, non è rimasto a guardare. Prima che UniCredit potesse portare a termine l’operazione, ha lanciato la sua offensiva: un’offerta per acquisire Anima Holding, il principale gestore patrimoniale italiano. Ha anche comprato una quota del 5% di Monte dei Paschi. Anima è strettamente legata a Poste Italiane, controllata dallo Stato, e questo mette il governo italiano in una posizione cruciale. La vera sorpresa è arrivata questa settimana da Monte dei Paschi. La banca più antica del mondo, dopo anni in cui era considerata un bersaglio per acquisizioni, ha offerto 13,3 miliardi di euro per acquisire Mediobanca, il suo rivale più grande per valore di mercato. Mediobanca considera l’approccio ostile e, secondo fonti vicine alla questione, probabilmente finirà per respingere l’offerta. Questa mossa aggiunge ulteriore dinamismo alla già turbolenta scena delle fusioni bancarie in Italia. Il governo italiano, che detiene ancora circa l’11,7% di Monte dei Paschi, osserva attentamente. MPS non è solo una banca; è un pezzo di storia. La sua privatizzazione è un tema delicato e Meloni sa che ogni decisione avrà conseguenze profonde. L'idea del governo è creare un terzo colosso bancario che possa competere con UniCredit e Intesa. Ma l'intervento di Orcel e ora l'offerta di MPS per Mediobanca complicano tutto. Nel frattempo, altri attori si muovono dietro le quinte. Philippe Brassac, il CEO di Crédit Agricole, con una quota del 9% in Banco BPM, si conferma un giocatore ambizioso nel panorama italiano. Carlo Cimbri, presidente di Unipol, segue con attenzione, pronto a inserirsi nei giochi di potere. Infine, le famiglie italiane Caltagirone e Del Vecchio, con partecipazioni strategiche in MPS, UniCredit, Generali e Mediobanca, restano protagonisti silenziosi ma determinanti. Questa non è solo una questione di soldi o di quote di mercato. È una battaglia per il controllo del futuro finanziario dell’Italia e, in parte, dell’Europa. Ogni mossa conta. Ogni errore potrebbe risuonare per decenni. Staremo a vedere cosa succederà. L’agenda macroeconomica che va dal 27 al 31 gennaio 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno le riunioni di politica monetaria della Federal Reserve, della BCE ed il dato sull’inflazione USA misurata dal deflatore PCE. Per gli Stati Uniti si attendono anche il Chicago Fed National Activity Index, le vendite di nuove abitazioni, l'indice manifatturiero della Fed di Dallas e della Fed di Richmond, gli ordini di beni durevoli, l'indice dei prezzi delle case, la fiducia dei consumatori elaborata dal Conference Board, la bilancia commerciale, i dati dell’EIA sulle scorte e la produzione di greggio, il PIL del quarto trimestre del 2024, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, il reddito e la spesa personale, le vendite pendenti di abitazioni e il PMI Chicago. Per l'Eurozona gli investitori monitoreranno il PIL del quarto trimestre del 2024 e il tasso di disoccupazione. Guardando ai singoli Paesi, per la Germania verranno diffusi gli indici IFO, il rapporto GFK sulla fiducia dei consumatori, il PIL del quarto trimestre 2024, le vendite al dettaglio, il tasso di disoccupazione e l'inflazione. Per la Francia si attendono invece la fiducia dei consumatori, il PIL del quarto trimestre 2024 e l'inflazione. Per la Spagna focus sul tasso di disoccupazione del quarto trimestre 2024, PIL del quarto trimestre 2024 e l'inflazione. Per l'Italia si attendono gli indicatori di fiducia di gennaio, la bilancia commerciale, il PIL del quarto trimestre 2024, le vendite al dettaglio e i prezzi alla produzione. Passando all’Asia, per la Cina saranno diffusi i PMI manifatturiero, servizi e composito. Segnalo che dal 28 gennaio al 4 febbraio i mercati saranno chiusi per il Capodanno cinese. Infine, per il Giappone gli operatori monitoreranno la fiducia dei consumatori, l'inflazione, la produzione industriale e le vendite al dettaglio. Fronte trimestrali invece, gli operatori attenderanno, per le big tech, i conti di Meta Platforms, Microsoft e Tesla mercoledì 29 gennaio 2025. Apple, Intel, Visa e Mastercard il giorno seguente, giovedì 30 gennaio.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,53%, China A50 ha chiuso a +0,58%, Hang Seng +1,98%, il Nikkei chiuso +0,02%, l’Australia +0,36%, Taiwan +0,97%, la Corea del Sud Kospi +0,82%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,17%. Il nostro FTSEMib +0,24%, Dax chiuso +0,04%, Ftse100 -0,73%, Cac40 +0,44%, Zurigo +0,08%. Lo S&P500 -0,29%, il Nasdaq -0,50%, il Russell2000 -0,30%. L’oro ha chiuso a 2.778,90 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 74,66$ per il wti e 78,50$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 49,702. Lo spread BTP/BUND 111,00. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 14,85%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere condizionati dalla chiusura di molti di essi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,39%, China A50 ha chiuso a +0,54%, Hang Seng +0,96%, il Nikkei chiuso -0,97%, l’Australia chiusa per festività, Taiwan chiusa per festività, la Corea del Sud Kospi chiusa per festività, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,88%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di negativa così come l’America. L’oro si attesta a 2.783,47 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 74,01$ per il greggio e 76,86$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 99.937 e l’Ethereum 3.117.
Buona giornata e buona settimana.

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