Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 20 gen
- Tempo di lettura: 7 min
(4° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Pablo Picasso: "Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere."
I mercati decollano prima dell'inaugurazione di Trump. Wall Street ha messo a segno la sua miglior performance da novembre. Venerdì scorso (10 gennaio), i dati sui posti di lavoro più forti del previsto hanno fatto crollare sia azioni che obbligazioni. Ma i dati sull'inflazione di questa settimana hanno mostrato segni di rallentamento e ai mercati questo è piaciuto. La maggior parte dei settori dell’S&P 500 è salita, spingendo l’indice a +2,9%. Nvidia e Tesla hanno trainato i guadagni, ma la vera star è stata Intel, che ha visto un’impennata del 12% grazie a voci che la danno come possibile obiettivo di acquisizione. Anche le banche hanno brillato, con un indice settoriale che ha chiuso la settimana a +8,2%. A rafforzare l’umore degli investitori sono arrivate anche notizie di colloqui tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping. Commercio, TikTok e fentanyl… temi che potrebbero definire i rapporti tra le due maggiori economie mondiali. Trump, pronto a giurare lunedì, ha ribadito i suoi obiettivi principali, come tagliare le tasse e aumentare le tariffe. Anche i bond sono tornati a salire, con i rendimenti del decennale che sono scesi di circa 15 punti base in una settimana. Però, attenzione! Nonostante il rimbalzo, il mercato obbligazionario è ancora un caos totale. La sensibilità dei bond alle sorprese economiche ha raggiunto un picco. Bitcoin è salito del 10%, il guadagno settimanale più grande da novembre scorso. L’oro continua la sua scalata. E il dollaro? Pure lui va alla grande. I trader speculativi hanno aumentato le loro scommesse rialziste sul biglietto verde, raggiungendo i livelli più alti dal 2019. I prezzi del petrolio hanno registrato il quarto guadagno settimanale consecutivo grazie alle sanzioni statunitensi sul commercio energetico russo. L’elezione di Donald Trump ha aperto un nuovo capitolo per l’economia americana. Un capitolo in cui inflazione e tassi d’interesse si trovano in un equilibrio precario. La scorsa settimana, il rapporto sui posti di lavoro ha sorpreso tutti con un boom inaspettato. Ma, se guardiamo bene, c’è di più sotto la superficie. I salari crescono del 3,76% su base annua, un ritmo coerente con il periodo pre-pandemico. Il mercato del lavoro, quindi, non è più una fonte di pressione inflazionistica. Quelle componenti "appiccicose" dell’inflazione che tanto preoccupavano la Fed stanno perdendo grip. Prendiamo il settore degli affitti: dopo i picchi del 2021 e 2022, i dati ufficiali iniziano finalmente a riflettere una realtà in stabilizzazione. Possiamo aspettarci un po’ di tregua anche dall’assicurazione auto. I prezzi si stanno finalmente normalizzando. Poi ci sono quei settori che sembrano in ripresa, ma è solo un effetto ottico. I prezzi delle auto usate sono risaliti del 6,3%. Normale aggiustamento, non nuova inflazione. I biglietti aerei, invece, aumentano più per strategie di profitto delle compagnie che per una vera domanda. Tutto punta a un’inflazione che potrebbe tornare vicino al 2% entro la fine dell’anno. E qui arriva il grande "ma". Lo scenario ordinato potrebbe saltare per aria con le mosse della nuova amministrazione. Ora si parla di aumenti graduali delle tariffe doganali (dal 2% al 5% al mese) e il presidente della Camera promette una grande legge fiscale entro aprile. Il destino dei tassi di interesse ora dipende più dai tweet della Casa Bianca che dai dati economici. La Fed dovrà cercare di decifrare l’incognita Trump. Speriamo che la nuova amministrazione non faccia scelte troppo aggressive. Il movimento del dollaro viene spesso descritto dalla teoria del "sorriso", un modello coniato dallo stratega dei cambi Steven Li Jen. È semplice e mostra come il dollaro si muove in base a due fattori principali: come vanno le cose negli Stati Uniti e come stanno le cose nel resto del mondo. I picchi del dollaro sono stati spesso raggiunti in tempi di crisi globale. Tutti si rifugiano in esso perché è visto come un rifugio sicuro, anche quando il caos è causato proprio dagli Stati Uniti. Quando invece gli Stati Uniti vanno bene, il dollaro ne trae beneficio. Ma quando la crescita è moderata, è lì che il dollaro si trova in difficoltà. Il mercato funziona, ma il dollaro non ottiene alcun favore. Adesso veniamo a noi. In questo momento, è chiaro che la forza del dollaro è spinta da vari fattori. I rischi all’estero sono alti e le persone si rifugiano nel dollaro per sicurezza. Ma anche le buone notizie USA stanno spingendo il dollaro verso l’alto. Dopo la vittoria di Trump, le aspettative di crescita sono cambiate. Il dollaro è influenzato anche dalla questione delle tariffe. Le tariffe più moderate che Wall Street si aspetta attualmente rappresenterebbero comunque un cambiamento storico. Quando gli Stati Uniti impongono tariffe, il mercato dei cambi fa il suo lavoro per aggiustarsi. Vale la pena chiedersi se le tariffe siano già scontate. Alcuni dicono di sì, altri dicono di no. Intanto, il candidato di Trump al Tesoro, Scott Bessent, ha detto che, per ogni aumento del 10% delle tariffe, i mercati valutari tendono a muoversi del 4% per riequilibrarsi. Certo, il rally del dollaro è andato oltre ciò che i differenziali di rendimento da soli possono spiegare. Ma il mercato dei cambi ha una tendenza a esagerare, soprattutto quando gli Stati Uniti sono in buona forma. Alla fine, è chiaro che l'incertezza è ancora alta. È possibile che il dollaro sia sopravvalutato per ora, ma mettendo insieme tutti i pezzi del puzzle, il rally ha senso. È un equilibrio tra la forza interna degli Stati Uniti e i rischi esterni, con il biglietto verde nel mezzo, che sembra davvero avere un grande appeal. Al giorno d’oggi, le dinamiche tra domanda e offerta possono oscillare violentemente e la politica è imprevedibile. Chi può dire cosa faranno Trump, Xi Jinping, Putin o Netanyahu? Nessuno ha la sfera di cristallo. Eppure, ci sono temi che meritano di essere seguiti. Vediamoli insieme!
1.La crisi d’identità dell’OPEC
Il cartello che unisce i principali esportatori di petrolio è in bilico. Ha già ritardato un aumento della produzione per sei mesi e ora non ci sono molte opzioni sul tavolo. La domanda globale di petrolio crescerà di un milione di barili al giorno, ma l’offerta da parte di paesi esterni all’OPEC+ è destinata a superarla.
2.Caffè e cacao: più amari che mai
Goditi il tuo espresso finché puoi, perché il prezzo potrebbe continuare a salire. Brasile e Vietnam, i due maggiori produttori, affrontano raccolti deludenti. Per cinque anni consecutivi, il consumo globale di caffè ha superato la produzione. Non era mai successo prima! L’Arabica ha già toccato prezzi record nel 2024, ma se il raccolto brasiliano non migliorasse, i prezzi potrebbero continuare ad aumentare. Per noi consumatori significa che pagheremo di più al bar. Il cacao segue la stessa strada. I raccolti in Africa occidentale, responsabili del 70% della produzione mondiale, stentano a riprendersi. Anche la cioccolata calda diventerà un’abitudine più costosa.
3.Il carbone non è morto
C’è chi lo dava per morto. Eppure, il carbone è ancora vivo e vegeto! Nel 2024 il consumo mondiale ha raggiunto un record storico. Il 2025 sarà l’anno della verità. In pochi prestano attenzione a questa materia prima, ancora di fondamentale importanza per il sistema energetico globale. La Cina, da sola, rappresenta circa il 30% del consumo globale e ha adottato il carbone come pilastro della sua strategia energetica. Un dato preoccupante per chi spera in una svolta verso energie più pulite.
4.Il minerale di ferro come indicatore dell’economia cinese.
Un’altra materia prima che non fa scalpore, ma che è di fondamentale importanza, è l'iron ore. Il prezzo è sceso a 100 dollari per tonnellata, lontano dai 200 dollari del 2021. Si vedono poche possibilità di ripresa. La causa principale è il rallentamento del settore immobiliare cinese, che rappresenta circa il 40% della domanda di acciaio. Nonostante gli sforzi del governo per stimolare l’economia, i risultati sono stati modesti. Nel frattempo, nuove fonti di produzione a basso costo, come la miniera della Guinea, entrano in scena. Cosa ci aspetta. Probabilmente un surplus di offerta nel medio termine.
L’agenda macroeconomica che va dal 20 al 24 gennaio 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno gli indici PMI (manifatturiero, servizi e composito) di gennaio, ma non solo. Per gli Stati Uniti saranno rilasciati anche il Leading Index, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, i dati dell’EIA sulle scorte e la produzione di greggio, le vendite di abitazioni esistenti, la fiducia dei consumatori dell'Università del Michigan e gli indici manifatturiero e composito della Fed di Kansas City. Segnaliamo che lunedì 20 gennaio Wall Street sarà chiusa per festività. Guardando al Vecchio Continente, per l'Eurozona si attendono l'indice ZEW e la fiducia dei consumatori. Per quanto riguarda i singoli Paesi del blocco europeo, per la Germania gli investitori monitoreranno le letture dei prezzi alla produzione e lo ZEW. Per la Spagna verrà diffusa anche la misurazione dei prezzi alla produzione. Nel caso del Regno Unito, focus sul mercato del lavoro: gli operatori monitoreranno i redditi medi, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione e il tasso di disoccupazione. Passando all’Asia, per la Cina il mercato attenderà la decisione della PboC sui tassi di interesse, mentre per il Giappone usciranno i dati della produzione industriale, bilancia commerciale e dell’inflazione. Venerdì si concluderà la due giorni di riunioni della Bank of Japan.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso negativi ad esclusione della Cina e Taiwan. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,22%, China A50 ha chiuso a +0,01%, Hang Seng +0,22%, il Nikkei chiuso -0,41%, l’Australia -0,20%, Taiwan +0,53%, la Corea del Sud Kospi -0,16%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,58%. Il nostro FTSEMib +1,25%, Dax chiuso +1,20%, Ftse100 +1,35%, Cac40 +0,98%, Zurigo +0,40%. Lo S&P500 +1,00%, il Nasdaq chiuso +1,51%, il Russell2000 +0,29%. L’oro ha chiuso a 2.748,70 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 77,39$ per il wti e 80,73$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 46,887. Lo spread BTP/BUND 113,400. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 15,97%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,11%, China A50 ha chiuso a +0,79%, Hang Seng +1,96%, il Nikkei chiuso +1,21%, l’Australia +0,45%, Taiwan +0,51%, la Corea del Sud Kospi -0,05%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,78%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura intorno alla parità l’America è chiusa. L’oro si attesta a 2.750,11 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 77,23$ per il greggio e 80,53$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 102.558 e l’Ethereum 3.296.
Buona giornata e buona settimana.

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