Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 13 gen
- Tempo di lettura: 6 min
(3° settimana - anno 2025)

Citazione del giorno:
Paulo Coelho: "non ti arrendere mai. Di solito è l’ultima chiave del mazzo di chiavi che apre la porta."
Non doveva andare così. Con un’economia in piena espansione, una Federal Reserve apparentemente amichevole e Donald Trump diretto alla Casa Bianca, Wall Street si aspettava un inizio d’anno tranquillo e ottimista. Eppure, a soli dieci giorni dall’inizio del 2025, il sogno di un’ascesa facile si è trasformato in un vero e proprio sell-off. Venerdì, in particolare, è stata una giornata nera per i mercati azionari americani. L’S&P 500 (-1,5%) ha cancellato i guadagni accumulati nel nuovo anno. È stata la peggior caduta dal 18 dicembre, quando la Fed ha sorpreso gli investitori mostrando cautela sui prossimi tagli ai tassi. Il Nasdaq è sceso dell’1,3% e il Dow Jones dell'1,6%. I titoli più rischiosi sono stati i più colpiti. L’indice delle aziende più piccole è sceso del 10% rispetto ai massimi precedenti. Nel frattempo, il mercato obbligazionario ha visto il rendimento dei Treasury a 30 anni superare brevemente il 5%. Il rapporto sull’occupazione di venerdì è stato l’ennesima conferma di un’economia americana in salute, ma anche un campanello d’allarme per chi sperava in un contesto di stimoli monetari. A dicembre sono stati aggiunti più posti di lavoro di qualsiasi altro mese dallo scorso marzo. A peggiorare le cose, i dati preliminari sul sentiment hanno evidenziato un aumento delle aspettative di inflazione dei consumatori sul lungo termine, toccando livelli che non si vedevano dal 2008. Dopo i dati, alcune grandi banche hanno rivisto le loro aspettative sui tagli dei tassi della Fed. Bank of America non si aspetta più alcuna riduzione quest’anno, e addirittura vede il rischio di un rialzo. Citigroup, invece, punta ancora a cinque tagli, ma ha spostato il primo a maggio. Goldman Sachs prevede due tagli, contro i tre precedenti. Settembre e ottobre sono ora considerati i tempi probabili per un primo taglio dei tassi. La correlazione tra azioni e obbligazioni è tornata a crescere. I principali ETF globali che tracciano l’S&P 500 e i Treasury a lungo termine hanno registrato rendimenti negativi per cinque settimane consecutive, il periodo peggiore dal settembre 2023. L’S&P 500 ha avuto il peggior avvio d’anno dal 2022, mentre l’ETF TLT (che segue i Treasury a lungo termine) non iniziava così male dal 2021. Il rendimento combinato di azioni e obbligazioni si conferma negativo per la quinta settimana consecutiva. L’oro ha ripreso quota, raggiungendo i 2.700 dollari. Questo, nonostante un rapporto sull’occupazione che alimenta l’ipotesi di una pausa nei tagli (di solito, tassi più alti rappresentano un ostacolo per l’oro perché non offre interessi). Il prezzo del petrolio ha superato gli 80 dollari al barile. Secondo un report, le raffinerie indiane si stanno preparando a possibili nuove sanzioni statunitensi che potrebbero limitare i flussi di greggio provenienti dalla Russia. Bitcoin è sceso, mentre il dollaro ha mantenuto la sua forza. La prossima settimana sarà decisiva con l’avvio della stagione degli utili e nuovi dati sui prezzi al consumo e all’ingrosso. Anche una sorpresa al ribasso sull’inflazione difficilmente basterà a far tagliare i tassi nel breve termine. Le previsioni per il rapporto sull’occupazione di dicembre parlavano di 165.000 nuovi posti di lavoro, un numero né troppo basso né troppo alto che avrebbe soddisfatto i mercati. Invece il dato ha sorpreso tutti: 256.000 nuovi posti, quasi 100.000 in più rispetto alla stima mediana. Gli stipendi orari, invece, sono aumentati dello 0,3% su base mensile, ma l’aumento annuale è calato al 3,9%. Tutta questa carrellata di numeri per dire una cosa sola: la Fed probabilmente non taglierà i tassi nel breve termine. La solidità del mercato del lavoro supporta lo stand-by dell’allentamento monetario. Prima del rapporto occupazionale, la Fed prevedeva solo due tagli nel 2025, già un ridimensionamento rispetto alle stime di settembre, ma i verbali dell’ultimo incontro di dicembre mostrano un crescente pessimismo tra i funzionari riguardo ulteriori riduzioni. Per ora l’inflazione fatica a rientrare nei ranghi e l'economia procede a ritmo sostenuto. I tagli ai tassi sembrano un miraggio sempre più lontano. Il mercato obbligazionario era già agitato prima dei dati sul mercato del lavoro, figuriamoci dopo! I rendimenti delle obbligazioni stanno per ritoccare i massimi del 2023. La vendita interessa soprattutto i titoli a lunga scadenza, quelli il cui rendimento dipende da fattori che vanno oltre le aspettative a breve termine sulle decisioni della banca centrale. Eppure, tutti puntano il dito contro la Fed. È vero, le aspettative sono cambiate radicalmente da settembre. All’epoca si prevedeva che i tassi sarebbero scesi ben sotto il 3% entro la metà del 2025. Ora, invece, ci si chiede se riusciranno a raggiungere il 4%. Un cambiamento di aspettative come questo dovrebbe di per sé spingere i rendimenti al rialzo. Ma un’impennata così marcata appare insolita, considerando che la Fed ha avviato un ciclo di allentamento dei tassi con una mossa significativa a settembre (50 punti base). Un comportamento molto insolito dei rendimenti a lungo termine dopo che la Fed ha iniziato a tagliare i tassi. L’inflazione è un’altra variabile che porta logicamente a un aumento dei rendimenti, poiché erode il valore dei redditi futuri generati dalle obbligazioni. Dando un’occhiata alle aspettative di inflazione misurate attraverso il differenziale tra titoli a rendimento fisso e titoli indicizzati all’inflazione, queste sono leggermente aumentate di recente, ma rimangono comunque stabili nel quadro generale. Il mercato obbligazionario non mostra segnali di allarme significativi sull’inflazione. Se non è solo una questione di aspettative sulla Fed e sull’inflazione, perché i rendimenti stanno salendo? Una risposta potrebbe essere trovata nel cosiddetto premio a termine, cioè il rendimento extra richiesto dagli investitori per compensare i rischi di prestare denaro a lungo termine. Questo premio è aumentato notevolmente negli ultimi tempi, raggiungendo il livello più alto degli ultimi dieci anni. Le ragioni dietro questo aumento includono il ritorno di Trump e i rischi delle sue politiche fiscali. Sono in gioco anche dinamiche di domanda e offerta. Le aziende hanno emesso un gran numero di nuove obbligazioni a inizio anno, aumentando la pressione sui rendimenti. Finora, il Dipartimento del Tesoro, sotto Janet Yellen, ha finanziato il debito prevalentemente a breve termine, riducendo l’offerta di obbligazioni a lungo termine. Ma il suo successore, Scott Bessent, sta valutando un ritorno verso emissioni a lungo termine, il che potrebbe incrementare l’offerta e far salire ulteriormente i rendimenti. L’agenda macroeconomica che va dal 13 al 17 gennaio 2025 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno i dati dell’inflazione dell’Eurozona e degli Stati Uniti, ma non solo. Per gli Stati Uniti si attendono anche le aspettative di inflazione dei consumatori, prezzi alla produzione, indice manifatturiero di New York, scorte e produzione di greggio, vendite al dettaglio, indice manifatturiero Fed Philadelphia, nuove richieste di sussidi di disoccupazione, indice NAHB, permessi di costruzione, nuovi cantieri edili residenziali e la produzione industriale. Per l'Eurozona verranno rilasciate le letture della produzione industriale e della bilancia commerciale. Guardando ai singoli Paesi, per l'Italia saranno diffuse le misurazioni della produzione industriale, inflazione e la bilancia commerciale. Per la Germania, Francia e Spagna gli investitori monitoreranno le letture dell’indice dei prezzi al consumo. Per il Regno Unito focus sui prezzi alla produzione, inflazione, PIL, bilancia commerciale, produzione industriale e sulle vendite al dettaglio. In Asia, per la Cina si attendono il PIL del quarto trimestre, produzione industriale, vendite al dettaglio e il tasso di disoccupazione. Infine, per il Giappone segnaliamo la diffusione dei prezzi alla produzione.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -1,00%, China A50 ha chiuso a -0,56%, Hang Seng -0,88%, il Nikkei -1,04%, l’Australia -0,42%, Taiwan -0,30%, la Corea del Sud Kospi -0,24%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,05%. Il nostro FTSEMib -0,64%, Dax chiuso -0,50%, Ftse100 -0,86%, Cac40 -0,79%, Zurigo -1,13%. Lo S&P500 -1,54%, il Nasdaq chiuso -1,63%, il Russell2000 -2,22%. L’oro ha chiuso a 2.719,49 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 76,58$ per il wti e 79,62$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 45,008. Lo spread BTP/BUND 120,050. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 19,54%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,51%, China A50 ha chiuso a -0,60%, Hang Seng -1,19%, il Nikkei chiuso per festività, l’Australia -1,23%, Taiwan -0,30%, la Corea del Sud Kospi -1,12%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,71%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura negativa così come l’America. L’oro si attesta a 2.716,01 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 77,07$ per il greggio e 81,28$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 94.010 e l’Ethereum 3.215.
Buona giornata e buona settimana.

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