Pillole di Mercato
- Federico Caligiuri
- 23 dic 2024
- Tempo di lettura: 6 min
(52° settimana - anno 2024)

Citazione del giorno:
Walter Benjamin: "Ogni ordine è un atto di equilibrio di estrema precarietà"
Un mese fa, non si parlava d’altro che del piano economico di Trump per sostenere la crescita a lungo termine. Questa settimana la scena è stata rubata da Jerome Powell. Il presidente della Fed ha riportato l’attenzione degli investitori sull’inflazione. Tutto è iniziato mercoledì, quando Powell ha mostrato scarsa convinzione nei tagli dei tassi d’interesse per il prossimo anno, facendo crollare sia le azioni che le obbligazioni. Ma poi, due giorni dopo, l’indice preferito dalla Fed per misurare l’inflazione ha portato un po’ di sollievo. Il rimbalzo di venerdì ha ridotto le perdite settimanali dell’S&P 500 e del Nasdaq. Il VIX, l’"indicatore della paura" di Wall Street, è schizzato oltre quota 28 mercoledì, salvo poi scendere sotto i 20 venerdì. I rendimenti dei Treasury a 10 anni hanno registrato il maggior rialzo su due settimane dell’anno, mentre i fondi obbligazionari hanno perso terreno. Bitcoin ha vissuto due delle peggiori sessioni del trimestre, pur rimanendo in rialzo di oltre il 100% rispetto all’anno scorso. La criptovaluta più importante è scesa sotto i 100.000 dollari, trascinando con sé MicroStrategy e altri asset speculativi. Il dollaro ha chiuso in rialzo per la terza settimana consecutiva, mentre il greggio ha chiuso la settimana in calo, influenzato dall’approccio restrittivo della Fed e dalla minaccia di Donald Trump di imporre dazi ai Paesi europei, a meno che non acquistino più petrolio e gas dagli Stati Uniti. Dietro a queste forti oscillazioni si nasconde la grande scommessa sul "Trump trade", ovvero l'idea che le politiche del nuovo presidente continueranno a spingere gli asset più rischiosi. Secondo un’indagine di Bank of America, le allocazioni in azioni statunitensi hanno raggiunto livelli record, mentre le riserve di liquidità si stanno prosciugando. Forse la reazione dei mercati dopo il meeting della Fed è stata un po’ esagerata. In fondo, non dovremmo dimenticare che una Fed che non taglia i tassi (o lo fa con maggiore cautela) potrebbe essere una buona notizia, soprattutto se questa decisione si basa su dati economici solidi. Ciò che è certo, per ora, è che il "Trump trade" si conferma come il tema dominante del 2024. La scommessa reggerà anche nel 2025? Il modo utilizzato nel gergo Wallstreetiano per definire quello che è successo mercoledì è un “taglio hawkish”. Sì, i tassi della Fed sono scesi di 25 punti base, ma le aspettative per il futuro sono cambiate. Il presidente Powell ha chiarito che i tassi non scenderanno tanto come previsto inizialmente e ha ammesso che l’amministrazione Trump potrebbe non fare tanto bene all’inflazione. Le politiche promesse - dazi, tasse più basse e politiche migratorie più dure - potrebbero influire negativamente sui prezzi (aumentandoli). I mercati l’hanno presa male. L’S&P 500 è sceso del 3% e il Dow Jones è crollato come non si vedeva da 50 anni. La volatilità è aumentata e i mercati emergenti hanno visto le loro valute scendere a picco, specialmente il real brasiliano e lo won sudcoreano. La vera causa della reazione dei mercati risiede nelle previsioni economiche della Fed. Ogni membro del FOMC fornisce un’idea su come si evolveranno i tassi in futuro, rappresentata da un punto su un grafico chiamato "dot plot". La versione aggiornata mostra solo due tagli, invece di tre. Allo stesso tempo, le aspettative di inflazione e di crescita sono aumentate. La previsione di “tassi più alti più a lungo” è risultata dannosa soprattutto per i costruttori e i gruppi immobiliari, che ora si trovano a dover affrontare costi più elevati per i prestiti e minori rendimenti sugli investimenti. Il settore dei beni di consumo discrezionali - anch’esso sensibile ai tassi di interesse - è sceso del 4,6% il giorno della Fed. Male anche le small cap del Russell 2000, più dipendenti dal ricorso al credito e soggette a detenere debito a tasso variabile. Per concludere, molti analisti dubitano che i dati recenti sull’inflazione possano giustificare un cambio di rotta della Fed così drastico. Probabilmente Powell è più preoccupato di quanto sembri per il Trump 2.0. Forse è l’ora di valutare sul serio le implicazioni delle politiche promesse? In tre mesi, le previsioni del mercato sui tassi per il prossimo anno sono passate dal 3% al 4%. Il pivot di Powell ha fatto impennare la curva dei rendimenti a livelli che non si vedevano da circa 30 mesi. Il rendimento dei titoli a 2 anni è arrivato al 4,3%, mentre il decennale si è spinto oltre il 4,5%. Dopo un lungo periodo di inversione - quando i titoli a breve termine rendevano più di quelli a lungo termine - la curva dei rendimenti è tornata ad essere positiva. Che significa? Semplice: gli investitori stanno diventando sempre più riluttanti a comprare titoli di stato con scadenze lunghe. Giovedì c'è stato il più grande irripidimento giornaliero della curva 2/10 negli ultimi 12 mesi. Il motivo è abbastanza semplice. Le politiche fiscali proposte da Trump potrebbero spingere la crescita economica, ma anche alimentare ulteriormente l'inflazione. Il problema è che il deficit di bilancio degli Stati Uniti è già enorme e, con queste premesse, potrebbe aumentare ulteriormente. Questo comporterebbe un aumento delle emissioni di titoli di stato per finanziare il debito pubblico e maggiore incertezza sui prezzi delle obbligazioni a causa dell’offerta in crescita. Nel frattempo, l'inflazione rimane ostinata e l'economia continua a essere sorprendentemente resiliente. Questo ha spinto la Fed a mantenere un approccio "hawkish". Per gli investitori, però, l’incertezza sulle future mosse della Fed si traduce in prudenza. In seguito alla riunione del FOMC, alcuni trader si sono addirittura concentrati sulla possibilità che la banca centrale avvii un nuovo ciclo di aumento dei tassi entro la fine del 2025. Il mix di politiche fiscali aggressive, deficit di bilancio in crescita, inflazione persistente e incertezza sui tassi spinge gli operatori del mercato obbligazionario a rimanere sulla difensiva. Quanto a lungo saranno disposti a sostenere i rischi legati a un debito pubblico sempre più difficile da gestire? Una curiosità. Il prezzo del cacao è passato da 4.200 a oltre 12.000 dollari in meno di quattro mesi, a causa di un deficit più grave del previsto. Le preoccupazioni principali riguardano la scarsa produzione in Ghana e Costa d’Avorio, che insieme rappresentano circa il 70% della produzione mondiale di cacao. Ricostruire le scorte globali di cacao è difficile quando in Africa Occidentale le malattie delle piante distruggono intere piantagioni e la popolazione di agricoltori invecchia. Il virus CSSVD (Cacao Swollen Shoot Virus Disease) sta devastando le piantagioni in Ghana e Costa d’Avorio. E anche quando gli alberi malati vengono trattati, possono impiegare fino a cinque anni per tornare produttivi. Tre fave di cacao su quattro vengono prodotte in Africa. Nonostante la Costa d’Avorio speri di aumentare la produzione nella nuova stagione, le forti piogge stanno già creando problemi. A complicare ulteriormente la situazione, le normative UE sulla deforestazione imporranno standard molto più rigidi ai coltivatori. La situazione del mercato del cacao resta precaria e difficile da prevedere. Se i problemi strutturali in Africa Occidentale non verranno risolti e le difficoltà legate al clima e alle normative continueranno a crescere, il prezzo del cacao potrebbe restare elevato o addirittura aumentare ulteriormente. Complici le festività natalizie, l’agenda macroeconomica che va dal 23 al 27 dicembre 2024 risulta scarna di dati di rilievo. Per gli Stati Uniti si attendono il Chicago Fed National Activity Index, la fiducia dei consumatori elaborata dal Conference Board, gli ordini di beni durevoli, le vendite di case nuove, l'indice manifatturiero della Fed di Richmond, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, le scorte e produzione di greggio, la bilancia commerciale di beni e l'indice dei prezzi delle case. Per il Regno Unito gli investitori monitoreranno il PIL del terzo trimestre, nel caso della Spagna i riflettori saranno puntati sul PIL del terzo trimestre mentre nel caso dell'Italia verrà diffusa la bilancia commerciale. Per l'Australia il focus sarà rivolto alla pubblicazione dei verbali dell’ultima riunione di politica monetaria della RBA. Infine, per il Giappone si attendono i dati sull'inflazione, il tasso di disoccupazione, la produzione industriale e le vendite al dettaglio.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,07%, China A50 ha chiuso a -0,87%, Hang Seng +0,19%, il Nikkei -0,22%, l’Australia -1,24%, Taiwan -1,84%, la Corea del Sud Kospi -1,30%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,20%. Il nostro FTSEMib -0,06%, Dax chiuso -0,43%, Ftse100 -0,26%, Cac40 -0,27%, Zurigo -0,26%. Lo S&P500 +1,09%, il Nasdaq +1,03%, il Russell2000 +0,94%. L’oro ha chiuso a 2.643,69 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 69,56$ per il wti e 72,94$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas (TTF) quotato sul mercato di Amsterdam è di € 44,130. Lo spread BTP/BUND 116,450. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 18,36%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,51%, China A50 ha chiuso a +0,94%, Hang Seng +0,68%, il Nikkei +1,27%, l’Australia +1,15%, Taiwan +2,64%, la Corea del Sud Kospi +1,55%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,68%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come l’America. L’oro si attesta a 2.644,89 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 69,78$ per il greggio e 72,85$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 94.663 e l’Ethereum 3.269.
Buona giornata, buona settimana e colgo l’occasione per rinnovare i miei personali auguri a voi e alle vostre famiglie per un sereno natale e un 2025 emozionante.

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