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Pillole di Mercato

(46° settimana - anno 2024)

Citazione del giorno:

Stephen Fleming: "Coltiva sempre la parte più luminosa del dubbio"

 

L'elezione di Donald Trump ha fatto impazzire i mercati. Gli investitori si sono buttati su azioni, credito e criptovalute come se non ci fosse un domani, mossi dalle aspettative che il programma pro-crescita del neoeletto presidente possa continuare a dare una spinta all’economia. Solo negli ultimi cinque giorni sono entrati nei mercati azionari oltre 2.000 miliardi di dollari. L’indice S&P 500 ha raggiunto il suo 50° massimo storico del 2024 e ha superato la soglia psicologica dei 6.000 punti. L'S&P 500 sta registrando una performance nettamente superiore alla media storica. Il settore energetico e quello finanziario sono stati i migliori. Tesla ha visto il proprio valore di mercato tornare sopra i 1.000 miliardi di dollari. Nvidia ha toccato nuovi massimi, superando Apple come capitalizzazione. Le small cap hanno avuto la loro migliore settimana dal boom di liquidità del lockdown del 2020. L’euforia ha fatto calare l’”indicatore della paura” (VIX) al minimo degli ultimi tre anni. I mercati obbligazionari, invece, hanno mostrato qualche titubanza di fronte ai potenziali costi degli stimoli fiscali di Trump. Ma alla fine di una settimana movimentata, i rendimenti dei Treasury hanno dato segnali di stabilizzazione. Il dollaro ha guadagnato per la sesta settimana consecutiva, mentre l’oro ha subito il peggior ribasso dalla scorsa primavera. Bitcoin ha vissuto la seconda migliore settimana dell’anno, superando i 77.000 dollari. Gli ETF legati alla criptovaluta più grande al mondo hanno visto afflussi record. l ritorno di Trump alla Casa Bianca e la possibilità di un Congresso a maggioranza Repubblicana (la cosiddetta "Red Wave") hanno avuto un effetto immediato sul mercato obbligazionario. I rendimenti del decennale hanno sfiorato il 4,5% subito dopo i risultati elettorali. Gli investitori stanno già reagendo alle prospettive di nuove politiche fiscali espansive. L’agenda di Trump è ben definita: più tagli fiscali, più spesa pubblica e politiche mirate a far crescere l’economia. La sua strategia, però, rischia di gonfiare ulteriormente il debito nazionale (già a livelli record). Secondo il Committee for a Responsible Federal Budget, le politiche di Trump potrebbero aggiungere ben 7.750 miliardi di dollari al debito pubblico entro il 2035. E se il Congresso resta saldamente nelle mani dei Repubblicani, queste iniziative troveranno pochi ostacoli. Le aspettative di inflazione degli investitori stanno già aumentando. Se Trump continua sulla strada di una politica fiscale aggressiva, la Fed potrebbe optare per tagli dei tassi meno frequenti e più diluiti di quanto si pensasse inizialmente. Il presidente della Fed è consapevole che le politiche di Trump potrebbero portare a nuove pressioni inflazionistiche. Infatti, nonostante il taglio di 25 punti base di questa settimana, Powell ha espresso la volontà di procedere con cautela. Ha dichiarato: "Non sappiamo ancora quali saranno i cambiamenti fiscali o quando verranno attuati. Non possiamo prevedere con esattezza gli effetti sull’economia, né sapere se e fino a che punto queste politiche influenzeranno i nostri obiettivi di massima occupazione e stabilità dei prezzi." Powell sa bene che mantenere l’indipendenza della Fed e gestire con cautela le aspettative di inflazione sarà fondamentale per evitare scossoni nei mercati. Teniamo d'occhio il mercato obbligazionario perché i prossimi mesi potrebbero portare volatilità. In Germania sta succedendo di tutto. Subito dopo la vittoria di Trump, il Cancelliere Olaf Scholz ha licenziato il ministro delle Finanze, Christian Lindner, esponente di uno dei partiti della coalizione. La rottura è avvenuta per divergenze su come gestire le finanze pubbliche e il debito: Scholz vorrebbe aumentare la spesa pubblica per sostenere l’economia, mentre Lindner preferiva un approccio più prudente. I mercati azionari tedeschi, però, sembrano ignorare del tutto la “crisi” politica che porterà la Germania a elezioni anticipate. L’indice DAX ha registrato una solidità sorprendente rispetto all’indice STOXX, che monitora le azioni di tutta Europa. Sembra quasi che gli investitori vedano un’opportunità in questa instabilità. Forse un cambio di governo potrebbe finalmente portare soluzioni più concrete ai problemi economici della Germania. Dopo anni di immobilismo politico, è improbabile che vengano adottate immediatamente politiche fiscali espansive. Secondo gli esperti di Capital Economics, il bilancio per il 2025 potrebbe non essere approvato prima della fine del 2024, il che lascia la Germania in un regime provvisorio con spese limitate. In questo contesto complicato, il ritorno di Trump è una variabile importante. Trump ha promesso politiche commerciali protezionistiche che potrebbero danneggiare l’economia tedesca dipendente dalle esportazioni. Anche questa situazione potrebbe spingere la Germania a ripensare seriamente alle sue priorità economiche. Continuare con politiche di austerità e risparmio potrebbe danneggiare la crescita tedesca. La Germania registra i livelli di incertezza economica più alti in Europa. Il ritorno di Trump è una scossa necessaria per l’Unione Europea e rappresenta l’occasione perfetta per coordinare meglio le politiche fiscali e adottare riforme strutturali che supportino l’economia del continente.  Con l’annuncio della vittoria di Trump, il dollaro ha guadagnato terreno rispetto alle altre principali valute. È interessante perché Trump stesso non è affatto un fan di un dollaro troppo forte. A suo dire, un dollaro troppo alto è “un disastro” per le esportazioni americane, come aveva già dichiarato in un’intervista a luglio. Intanto, fuori dagli USA, le altre economie non restano certo immobili. Le valute dei mercati emergenti sono già sotto pressione. Il peso messicano, ad esempio, ha perso oltre il 3% dopo la rielezione di Trump. E il nostro euro? La valuta comune ha subito il peggior calo sul dollaro dal 2016, con l’ombra di un possibile taglio dei tassi della BCE a dicembre che torna a farsi sentire. Per i prossimi mesi, i prezzi al consumo statunitensi sono attesi più alti rispetto a quelli dell’Eurozona. E infatti i mercati pensano che la Fed taglierà i tassi meno della BCE nei prossimi mesi. Questo significa che il dollaro potrebbe continuare a dominare l’euro. Per quanto riguarda la questione sui dazi e la guerra commerciale, alcuni analisti dicono che forse la situazione è ingigantita. Se gli USA imponessero tariffe universali del 20% sulle importazioni, il PIL di Regno Unito e Unione Europea perderebbe “solo” uno 0,2% e uno 0,1% entro il 2028. Secondo il vicepresidente della BCE, Luis de Guindos, “dicembre è troppo presto per considerare l’impatto delle tariffe”. Un invito a mantenere la calma? Forse. L’agenda macroeconomica che va dall’11 al 15 novembre 2024 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno i dati relativi all'andamento dell’inflazione degli USA, ma non solo. Per l’economia statunitense si attendono anche l’indice NFIB (fiducia delle piccole e medie aziende), le aspettative d’inflazione dei consumatori elaborate dalla Fed di New York, le nuove richieste di sussidi disoccupazione, i prezzi alla produzione, i dati dell’EIA sulle scorte e la produzione greggio, le vendite al dettaglio, l’indice manifatturiero New York Empire State e la produzione industriale. Fronte Vecchio Continente, per l’Eurozona si attenderanno i dati del sentiment ZEW, la produzione industriale e il PIL del terzo trimestre. La BCE pubblicherà i verbali dell'ultima riunione di politica monetaria. Per la Germania, Spagna, Francia e Italia verranno diffusi i dati dell’inflazione. Per l’economia tedesca si attenderanno anche gli indici ZEW e le vendite del commercio all’ingrosso. Per quanto riguarda il Regno Unito, il mercato monitorerà il rilascio del tasso di disoccupazione, salari orari medi, le richieste di sussidi di disoccupazione, PIL del terzo trimestre, produzione industriale e la bilancia commerciale. In Asia, per la Cina il focus sarà sull’indice dei prezzi delle abitazioni, produzione industriale, vendite al dettaglio e al tasso di disoccupazione. Per il Giappone verranno diffusi il PIL del terzo trimestre e la produzione industriale.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,64%, China A50 ha chiuso a -1,33%, Hang Seng -0,90%, il Nikkei +0,19%, l’Australia +0,84%, Taiwan +0,62%, la Corea del Sud Kospi -0,14%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a -0,24%. Il nostro FTSEMib -0,48%, Dax chiuso -0,76%, Ftse100 -0,84%, Cac40 -1,17%, Zurigo -1,00%. Il Nasdaq +0,09%, S&P500 +0,38%, il Russell2000 +0,71%. L’oro ha chiuso a 2.691,90 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 70,42$ per il wti e 73,87$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas quotato sul mercato di Amsterdam è di € 42,409. Lo spread BTP/BUND 129,100. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 14,94%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere misti. Nei singoli paesi lo Shanghai composite +0,09%, China A50 ha chiuso a -1,00%, Hang Seng -1,74%, il Nikkei +0,11%, l’Australia -0,35%, Taiwan -0,10%, la Corea del Sud Kospi -0,90%, l’indice Indiano Sensex ha chiuso a +0,66%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come l’America. L’oro si attesta a 2.677,45 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 70,23$ per il greggio e 73,80$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 80.965 e l’Ethereum 3.136.

 

Buona giornata e buona settimana.







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