top of page
Immagine del redattoreFederico Caligiuri

Pillole di Mercato

(39° settimana - anno 2024)

Citazione del giorno:

Seminari motivazionali: “Più sei grato per le cose che hai, più avrai cose per essere grato”

 

Questa settimana, Jerome Powell ha dato una bella scossa ai mercati, tagliando i tassi d'interesse di mezzo punto percentuale. Un gesto che Wall Street aspettava con ansia, visto che ormai gli investitori sembrano lanciati a testa bassa in un mare di speculazioni. Le azioni hanno toccato nuovi record, le materie prime sono di nuovo in ascesa e il mercato obbligazionario sembra aver ritrovato un po' di pace dopo settimane turbolente. Il Nasdaq ha registrato il miglior balzo di due settimane da novembre, mentre gli investitori tirano un sospiro di sollievo, felici che Powell non abbia tardato troppo a dichiarare la fine della lotta contro l'inflazione. L’S&P 500 ha superato un rendimento totale del 20% per il 2024 e giovedì ha segnato il suo 39° record annuale. Mentre i mercati festeggiano, c'è pochissimo margine d'errore. Con la Federal Reserve che si mostra più accomodante, il valore di azioni e obbligazioni è più alto rispetto all'inizio di tutti i 14 cicli di taglio dei tassi precedenti, momenti storici che di solito segnavano l'inizio di una recessione. Il Buffett Indicator, che mette in rapporto il valore totale delle azioni statunitensi con il PIL del paese, si trova attualmente vicino ai massimi storici. Stiamo parlando di valutazioni alte in un contesto economico complesso, dove basta una qualsiasi brutta notizia, come un’inflazione che risale o una delle grandi aziende tech che delude, per far crollare il castello di carte. La situazione è delicata anche per i tassi d'interesse. I trader stanno puntando su tagli aggressivi, con un tasso che potrebbe scendere fino al 2,8% entro il 2025. Ma la Fed prevede un livello più alto, al 3,4%. Per ora, i mercati mostrano una chiara convinzione in un esito economico favorevole. I titoli delle piccole aziende, più sensibili al ciclo economico, sono saliti per sette giorni consecutivi, il periodo più lungo dal marzo 2021. Gli ETF azionari hanno attirato 13 miliardi di dollari questo mese, il maggiore afflusso da oltre tre anni. I mercati stanno anticipando tagli dei tassi aggressivi nei prossimi 12 mesi. Nonostante la forte volatilità, l'indice del dollaro è rimasto invariato per tutta la settimana. Nel frattempo, i prezzi del petrolio hanno avuto un’impennata. Bitcoin ha vissuto giorni frenetici, salendo sopra i 64,000 dollari e raggiungendo i massimi di un mese. L'oro ha raggiunto nuovi massimi storici, superando i 2600 dollari. La Fed ha fatto un passo deciso con un taglio dei tassi di mezzo punto percentuale, un segnale forte da parte di Jerome Powell e del suo team per ribadire il loro impegno a mantenere l'economia su un percorso di crescita sostenibile, nonostante l'inflazione sembri finalmente essere sotto controllo. Questa mossa, che ha portato il tasso di riferimento tra il 4,75% e il 5,00%, è stata giustificata con una maggiore fiducia nella stabilità dei prezzi, e, come ha detto lo stesso Powell, con la necessità di ricalibrare la politica monetaria per prevenire eventuali debolezze future nel mercato del lavoro. L'annuncio non è stato privo di controversie. Per la prima volta dal 2005, un membro del consiglio della Fed, Michelle Bowman, ha votato contro, preferendo un taglio meno aggressivo di 25 punti base. Questo dissenso è stato interpretato da molti come un segnale del fatto che Powell volesse imprimere un'impronta decisa a questa fase di allentamento della politica monetaria, evitando di aspettare troppo a lungo prima di intervenire. Le proiezioni economiche rilasciate contemporaneamente alla decisione suggeriscono che il tasso di interesse di riferimento scenderà di un ulteriore mezzo punto percentuale entro la fine dell'anno e di un punto intero nel 2025, riflettendo un approccio più cauto e graduale per l'anno prossimo. Questo nonostante il fatto che l'inflazione, secondo la misura preferita della Fed, si trovi al momento a solo mezzo punto percentuale sopra l'obiettivo del 2%. Uno dei temi centrali che ora si impone riguarda il cosiddetto tasso neutrale, quel livello di tasso d'interesse che non stimola né rallenta l'economia. Negli ultimi anni, la Fed ha visto il suo livello spostarsi progressivamente verso l'alto, segno di un'economia che sta tornando a una normalità più robusta rispetto al periodo post-crisi finanziaria e alla pandemia. C'è chi ritiene, come alcuni economisti di Vanguard, che il tasso neutrale in termini reali (aggiustati all'inflazione) sia attorno all'1,5%, ben al di sopra dello 0,5% stimato dalla Fed. E se così fosse, le attuali politiche monetarie non sarebbero così restrittive come si potrebbe pensare. Ciò che sembra certo è che il concetto di tasso neutrale non è scolpito nella pietra e può variare significativamente nel tempo, influenzato da fattori strutturali come la produttività, le aspettative di inflazione e le dinamiche demografiche. Un aumento della produttività, per esempio, porterebbe il tasso neutrale più in alto, poiché l'economia potrebbe crescere più rapidamente senza rischiare di surriscaldarsi. Al contrario, fattori come l'invecchiamento della popolazione, che riduce la domanda di mutui e altri capitali, potrebbero spingere il tasso neutrale verso il basso. Per Powell, la sfida è capire se l'attuale tasso neutrale è ancora valido in un contesto economico in rapido mutamento. Se il tasso neutrale è più alto del previsto, significa che la Fed potrebbe aver mantenuto i tassi troppo alti per troppo tempo, con il rischio di indebolire l'economia più di quanto sia necessario. Se è più basso, invece, c'è il rischio che un eccesso di stimoli possa alimentare nuove pressioni inflazionistiche in futuro. In definitiva, con la riduzione dei tassi, Powell ha lanciato un messaggio chiaro: la Fed è pronta a supportare l'economia, ma con la consapevolezza che i prossimi passi dovranno essere calibrati con estrema attenzione. La direzione è stata tracciata, ma la destinazione resta incerta, e questo fa sì che l'atterraggio morbido resti un obiettivo ambizioso, ma tutt'altro che garantito. Siamo abituati a pensare che un taglio dei tassi d'interesse da parte della Federal Reserve sia una manna dal cielo per i mercati azionari. Del resto, l'equazione sembra semplice: se i tassi scendono, il denaro costa meno e le aziende dovrebbero crescere più rapidamente. Quindi, via libera agli acquisti di azioni. Ma le cose non sono così lineari. Se ci immergiamo nei dati storici, ci accorgiamo che la realtà è molto più complessa di quanto la teoria ci faccia credere. Prendiamo in considerazione quanto accaduto durante le precedenti campagne di taglio dei tassi. L'S&P 500 ha registrato un ritorno positivo in 12 dei 13 periodi analizzati, il che potrebbe indurre a pensare che puntare sulle azioni in questi frangenti sia una scommessa sicura. Se approfondiamo però il tema ci accorgiamo che: le azioni value, ovvero quelle di aziende consolidate e meno costose in base al loro rapporto prezzo/utili, hanno superato le growth in tutti i casi. La vera storia dietro ai tagli dei tassi non riguarda tanto l'intero mercato azionario quanto la dinamica interna tra titoli di crescita e titoli di valore. Perché succede questo? È una questione di aspettative e di come il mercato prezza il futuro. Quando i tassi sono alti, le azioni growth tendono a soffrire di più perché gli utili futuri vengono scontati a tassi maggiori, rendendoli meno appetibili nel presente. Con il calo dei tassi, ci si aspetterebbe che queste azioni tornino a brillare. Eppure, storicamente, sono le azioni value a rubare la scena, mostrando un comportamento inverso rispetto a quanto prevederebbe la logica finanziaria tradizionale. Quindi, dovremmo tutti fare incetta di azioni value ogni volta che la Fed annuncia un taglio dei tassi? Non proprio. Le decisioni d'investimento non possono essere semplicistiche. Nessuno sa esattamente cosa farà la Fed nei prossimi mesi: potrebbe continuare a ridurre i tassi o essere costretta a invertire la rotta se l'inflazione dovesse rialzare la testa. E i mercati, anticipando già gran parte delle mosse della Fed, potrebbero aver inglobato queste aspettative nei prezzi attuali. C'è poi un'altra questione da considerare: quanto siamo bravi noi investitori a prevedere i movimenti del mercato? Siamo sinceri, pochissimi di noi riescono a vendere quando i mercati sono in crescita e a comprare durante le crisi. Quindi, alzare l'allocazione azionaria basandosi su previsioni di tagli dei tassi rischia di portarci a operazioni sbagliate nei momenti peggiori. Comunque, la performance media dell’S&P 500 un anno dopo il primo taglio dei tassi è del 4,9%. Insomma, non possiamo affidarci ciecamente ai movimenti della Fed e alle performance passate per prendere decisioni d'investimento. Piuttosto, dobbiamo considerare il contesto globale: le valutazioni attuali del mercato, il clima economico generale e, soprattutto, i nostri obiettivi finanziari. L’agenda macroeconomica che va dal 23 al 27 settembre 2024 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno gli indici PMI (manifatturiero, servizi e composito) e soprattutto l’inflazione degli USA misurata dal deflatore PCE, la metrica preferita dalla Fed. Per gli Stati Uniti si attendono anche il Chicago Fed National Activity Index, indici manifatturiero della Fed di Richmond e manifatturiero e composito della Fed di Kansas City, indice dei prezzi delle abitazioni, vendite di nuove abitazioni, vendite pendenti di abitazioni, fiducia dei consumatori elaborata dal Conference Board e dall’Università del Michigan, ordini di beni durevoli, PIL del secondo trimestre 2024, nuove richieste sussidi disoccupazione e i dati sul reddito e la spesa personale. Fronte Eurozona, si attendono alcuni indicatori di fiducia (aziende e consumatori), per la Germania verranno rilasciati gli indici IFO, il rapporto GFK sul clima dei consumatori e il tasso di disoccupazione. Per l’Italia si aspettano le vendite industriali e i prezzi alla produzione.

 

VENERDI’

I listini dell’Asia hanno chiuso positivi ad esclusione della Cina continentale. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,59%, China A50 chiuso -0,42%, Hang Seng +0,84%, il Nikkei ha chiuso a +1,52%, l’Australia -0,02%, Taiwan +0,69%, la Corea del Sud Kospi +0,50%, l’indice Indiano ha chiuso +0,96%. Il nostro FTSEMib -0,83%, Dax chiuso -1,43%, Ftse100 -1,19%, Cac40 -1,51%, Zurigo -1,03%. Il Nasdaq -0,36%, S&P500 -0,19%, il Russell2000 -1,10%. L’oro ha chiuso a 2.646,20 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 71,00$ per il wti e 73,69$ per il brent inglese.  Il prezzo del Natural Gas quotato sul mercato di Amsterdam è di € 34,444. Lo spread BTP/BUND 129,130. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 16,33%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.

 

PRE-APERTURE

I listini dell’Asia si avviano a chiudere positivi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -+0,41%, China A50 chiuso +0,74%, Hang Seng +0,23%, il Nikkei ha chiuso a +1,67%, l’Australia -0,65%, Taiwan +0,31%, la Corea del Sud Kospi +0,09%, l’indice Indiano ha chiuso +0,23%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come l’America. L’oro si attesta a 2.653,45 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 71,60$ per il greggio e 74,28$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 63.700 e l’Ethereum 2.655.

 

Buona giornata e buona settimana.


0 visualizzazioni0 commenti

Post correlati

Mostra tutti

Comments


bottom of page