(37° settimana - anno 2024)
Citazione del giorno:
Zig Ziglar: "La determinazione non rende le cose facili, le rende possibili"
Quella che era iniziata come una brutta settimana, è finita ancora peggio con una liquidazione frenetica su tutti gli asset. Segnali di allarme, già evidenti da tempo nei mercati obbligazionari e delle materie prime, hanno risvegliato gli investitori dal loro torpore, portando le azioni alla loro peggiore performance dalla crisi bancaria regionale del marzo 2023. Il fattore scatenante è stato un altro rapporto deludente sui posti di lavoro negli Stati Uniti. I dati hanno fatto crescere le preoccupazioni per il rallentamento dell'economia, alimentando il timore che la Federal Reserve non agisca abbastanza velocemente per prevenire ulteriori danni economici. Gli investitori nel mercato obbligazionario, spesso considerati i più attenti nell'anticipare i cambiamenti economici, hanno iniziato a prevedere tagli più rapidi ai tassi di interesse da parte della Fed. Questo ha fatto scendere i rendimenti dei titoli di stato a due anni ai livelli più bassi dal 2022. Anche il mercato delle materie prime ha dato segnali preoccupanti: il prezzo del petrolio ha perso tutti i guadagni accumulati nel corso del 2024 e il rame ha visto un calo significativo, con 13 settimane negative su 16. Persino l’oro, che inizialmente aveva raggiunto nuovi massimi storici grazie ai dati sui posti di lavoro, ha poi chiuso la giornata sui minimi della sessione. Il fatto che molti asset rischiosi siano stati venduti contemporaneamente conferma la cautela evidente da tempo nel mercato obbligazionario. Secondo un modello di JPMorgan, mentre le azioni e il credito di alta qualità stimano una bassa probabilità di recessione, le materie prime e i titoli di stato riflettono una probabilità molto più alta (rispettivamente del 62% e 70%). Un aspetto importante da considerare è l’inversione della curva dei rendimenti, un fenomeno che si verifica quando i rendimenti delle obbligazioni a breve termine superano quelli delle obbligazioni a lungo termine. Ora la curva dei rendimenti sta tornando a una configurazione normale (con i rendimenti a lungo termine più alti di quelli a breve), ma è proprio in questa fase che, in passato, sono iniziate le ultime tre recessioni. Agosto è stato decisamente turbolento. L'S&P 500 ha subito una caduta libera del 6% in soli tre giorni e il VIX, l'indicatore della "paura", ha raggiunto il terzo picco più alto della sua storia. Ma il resto del mese ci ha regalato un rimbalzo, grazie ai solidi risultati delle aziende americane e alla diminuzione delle preoccupazioni sul mercato del lavoro. Ora ci troviamo di fronte a settembre, un mese famoso per il suo "effetto" sui mercati. Da anni si dice che questo sia il mese peggiore per i mercati, con l'S&P 500 che ha registrato una perdita media in più della metà dei casi dal 1964 a oggi. Nel corso degli anni, la percentuale di paesi che hanno registrato rendimenti negativi durante settembre supera di gran lunga quelli con rendimenti positivi. Almeno dal punto di vista statistico, sembrerebbe che questo "Effetto Settembre" sia un fenomeno reale. Vediamo di capire perché! Oltre il 60% dei paesi registra rendimenti negativi a settembre, più che in qualsiasi altro mese dell'anno. Alcuni economisti sostengono che si tratti di una semplice coincidenza legata al calendario. Gli investitori tornano dalle vacanze e riequilibrano i portafogli. Altri, invece, credono che il tutto sia una profezia autoavverante. In fin dei conti, se tutti credono che settembre sarà un mese difficile, agiranno di conseguenza rendendolo tale. Cosa fare allora in questo mese incerto? L'effetto settembre è interessante da studiare, ma non dovrebbe essere utilizzato per prendere decisioni di trading. Oltre al rapporto sull'occupazione appena uscito, ci saranno altri due eventi chiave che potranno darci un indizio sul destino di settembre 2024: i dati sull'inflazione e la riunione della Federal Reserve. Il rapporto sull'occupazione di agosto ha portato con sé sia buone che cattive notizie. Partiamo dalle cattive: gli Stati Uniti hanno aggiunto solo 142.000 nuovi posti di lavoro, al di sotto delle aspettative che erano di 165.000. Non proprio una catastrofe, ma di certo un segnale che il mercato del lavoro sta rallentando. Per aggiungere sale alla ferita, i dati dei mesi precedenti sono stati rivisti al ribasso: giugno è sceso di 61.000 posti, mentre luglio ne ha persi 25.000, portando il totale dei posti di lavoro persi a 86.000. La buona notizia è che il tasso di disoccupazione è sceso al 4,2%, allontanandosi da quel temuto 4,3% che aveva innescato la Regola di Sahm, una regola che molti economisti usano come indicatore di recessione. La regola di Sahm afferma che, se il tasso di disoccupazione aumenta di almeno 0,5 punti percentuali rispetto al minimo degli ultimi 12 mesi, una recessione potrebbe essere già in corso. Il fatto che siamo scesi a 4,2% significa che, almeno per ora, siamo fuori pericolo. Alcune info sul petrolio. Il cartello del petrolio non sa più come muoversi. L'OPEC+ aveva programmato di aumentare la produzione, ma i prezzi sono scesi troppo e ha quindi deciso di rimandare tutto di un paio di mesi. Il tentativo è quello di evitare che il prezzo del petrolio scenda ulteriormente nel breve termine. Un aumento della produzione avrebbe portato a un eccesso di offerta, e di conseguenza, a prezzi ancora più bassi. Questo posticipo non è una soluzione definitiva. È come spostare il problema più avanti nel tempo senza affrontarlo davvero. I paesi membri non sono d'accordo tra di loro su cosa fare. L'Arabia Saudita vorrebbe tagliare la produzione, ma altri come Iraq, Kazakistan e Emirati Arabi Uniti preferiscono mantenerla alta per non perdere la loro fetta di mercato. I prezzi del petrolio, se aggiustati all'inflazione, sono oggi più o meno allo stesso livello di 20 anni fa. Il problema per l'Arabia Saudita è che ora sta producendo molto meno rispetto ad allora, ottenendo così una combinazione sfavorevole di bassa produzione e prezzi bassi. Questo scenario non è sostenibile per un paese che ha bisogno di alti introiti dal petrolio per sostenere la sua economia. Nel frattempo, la domanda globale di petrolio ha superato l’offerta, ma questa situazione non durerà a lungo. Con l’arrivo dell’autunno, la domanda di carburanti per auto e aerei inizierà a calare, come avviene ogni anno. Inoltre, i paesi che non fanno parte dell'OPEC stanno aumentando la produzione, riducendo la necessità del petrolio dell’OPEC+. Questo significa che potrebbe esserci troppa offerta rispetto alla domanda e quindi un ulteriore calo dei prezzi. Secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia, per mantenere il mercato bilanciato, l'OPEC+ dovrebbe ridurre drasticamente la produzione nel primo semestre del 2025. In definitiva, il posticipo dell’aumento della produzione è solo una toppa temporanea. La situazione non si risolverà senza un taglio deciso della produzione da parte dei membri dell’OPEC+. Se non lo faranno, è probabile che i prezzi continueranno a scendere. Alcune banche di Wall Street prevedono un calo sotto i 70 dollari al barile, con il rischio di arrivare anche a 50 dollari. L’unica cosa certa è che nelle prossime settimane la situazione diventerà sempre più tesa, e a dicembre, quando dovrà prendere una nuova decisione, l'OPEC dovrà affrontare la realtà e decidere se tagliare davvero la produzione o rischiare un ulteriore crollo dei prezzi. L’agenda macroeconomica che va dal 9 al 13 settembre 2024 sarà caratterizzata da alcuni dati macroeconomici di rilievo per le principali economie del Vecchio Continente e per gli Stati Uniti. A catalizzare l’attenzione degli operatori saranno la riunione di politica monetaria della BCE, la successiva conferenza stampa della presidente Christine Lagarde e i dati sull’inflazione USA. Per gli Stati Uniti, ci saranno ulteriori dati economici rilevanti: le vendite del commercio all'ingrosso, l'indice di inflazione dei consumatori, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione e i prezzi alla produzione. Saranno inoltre pubblicati i dati sulle aspettative di inflazione dei consumatori della Fed di New York, il rapporto NFIB (sentiment piccole e medie aziende) e il livello di fiducia dei consumatori misurato dall'Università del Michigan. Per l'Eurozona gli operatori monitoreranno l'indice di fiducia degli investitori Sentix, le previsioni economiche dell'UE e i dati sulla produzione industriale. Inoltre, saranno comunicati i dati sull'inflazione per Germania e Spagna. In Italia, verranno resi noti i dati sulla produzione industriale.
VENERDI’
I listini dell’Asia hanno chiuso per lo più negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -0,29%, China A50 +0,05%, Hang Seng chiuso, il Nikkei chiuso -0,63%, l’Australia +0,31%, Taiwan +1,12%, la Corea del Sud Kospi -1,18%, l’indice Indiano ha chiuso -0,98%. Il nostro FTSEMib -0,25%, Dax chiuso -0,63%, Ftse100 -0,21%, Cac40 -0,19%, Zurigo -0,22%. Il Nasdaq -2,55%, S&P500 -0,68%, il Russell2000 -0,98%. L’oro ha chiuso a 2.524,60 dollari l’oncia, mentre il petrolio ha scambiato a 67,67$ per il wti e 71,06$ per il brent inglese. Il prezzo del Natural Gas quotato sul mercato di Amsterdam è di € 36,479. Lo spread BTP/BUND 146,470. L’indice VIX (il termometro dei mercati cioè la volatilità) chiude a 20,55%. Nel periodo pre-covid si attestava tra il 20% e l’11% e sono i due livelli entro cui vi è tranquillità nei mercati finanziari.
PRE-APERTURE
I listini dell’Asia si avviano a chiudere negativi. Nei singoli paesi lo Shanghai composite -1,26%, China A50 -1,39%, Hang Seng -2,04%, il Nikkei chiuso -0,72%, l’Australia -0,40%, Taiwan -1,36%, la Corea del Sud Kospi -0,39%, l’indice Indiano ha chiuso +0,15%. Al momento in cui scrivo i mercati europei hanno una previsione di apertura positiva così come l’America. L’oro si attesta a 2.516,90 dollari l’oncia, mentre il petrolio chiude intorno ai valori di 68,25$ per il greggio e 71,62$ per il brent. Infine, il Bitcoin quota 54.757 e l’Ethereum 2.292.
Buona giornata e buona settimana.
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