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Immagine del redattoreFederico Caligiuri

Il nostro rapporto con i rendimenti passati


"I rendimenti passati non forniscono previsioni sui rendimenti futuri."

Quanto volte lo abbiamo visto nei documenti informativi presentati dagli intermediari nel momento in cui decidiamo di investire. Nonostante questi disclaimer, alcuni investitori (ancora troppi) credono che le performance passate siano invece un indicatore affidabile del futuro. Perchè accade questo?. Le motivazioni sono diverse ma riconducibili ad un unico denominatore: "Quando investiamo, ci affidiamo in misura eccessiva all'istinto e alle emozioni”. Troppe persone iniziano ad investire dopo alcuni anni di rialzo dei prezzi dei titoli, per poi vendere in preda al panico dopo una caduta del mercato. E’ esattamente il contrario di ciò che si dovrebbe fare. Questa è una regola che gli investitori "navigati" e noi consulenti finanziari (la maggior parte) conoscono molto bene. Lo stesso Warren Buffett (il più grande e lungimirante investitore di tutti i tempi), in una delle su tante citazioni afferma: "Il mercato azionario è molto semplice: devi acquistare quote di una grande azienda per una cifra inferiore al loro valore intrinseco. L'azienda deve essere gestita da dirigenti integerrimi e capaci. Fatto ciò, conserva quelle quote per sempre." Magari questo aforisma è un po' “talebano”, ma anche estremamente vero. Gli esperti hanno studiato questo fenomeno, cioè la tendenza degli investitori a farsi influenzare eccessivamente dalle performance passate. Anche nella mia attività quotidiana diversi clienti, al primo incontro, chiedono se la soluzione proposta possa replicare determinate performance. I risultati di questa analisi sono racchiusi nella “finanza comportamentale”, che identifica, nel nostro caso, i seguenti schemi:

1. Fattore recenziorità: le persone credono che una tendenza recente si estenderà al futuro. Per cui se un titolo è salito per un mese di fila, gli investitori potrebbero pensare che il suo valore continuerà ad aumentare;

2. Effetto gregge: forse perché temono di perdersi, spesso le persone decidono di fare qualcosa soprattutto perché molti altri lo fanno;

3. Effetto FOMO: in inglese “Fear of Missing Out”, cioè la paura di rimanere fuori da un trend per cui decido di entrare anch’io in quell’investimento con il rischio di sbagliare il timing.

Nel grafico seguente, estrapolato dal report di Assogestioni, ho voluto mettere a confronto i flussi di entrata nei fondi comuni di investimento in Italia dal 2018 a settembre 2022, con le performance dello S&P500.


E’ piuttosto evidente come gli investitori si comportano come i mercati finanziari e cioè tendono ad entrare man mano che gli indici salgono per poi vendere quando gli stessi scendono. Per ironia della sorte, il tempismo non sembra essere perfetto: coloro che hanno investito nel 2021 avranno probabilmente subito delle perdite, mentre solo pochi coraggiosi investitori che hanno acquistato a fine 2022 avranno guadagnato dal recente rally dei mercati azionari e obbligazionari. Non sto affermando che gli investitori dovrebbero entrare nel mercato durante un anno negativo e uscirne in un anno positivo. Sto solo dicendo che, probabilmente, i risultati sono migliori quando gli investitori si attengono al loro piano, che sia di breve ma a maggior ragione di lungo termine, continuando ad aggiungere investimenti periodicamente, anche e soprattutto nei periodi in cui i mercati soffrono. In conclusione non cercate di inseguire le performance ma utilizzate gli strumenti giusti per l’orizzonte temporale definito.



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